Ora o mai più

di Erica Angelini e GIulia Apicella, 16 anni, in rappresentanza della classe di cinematografia del Liceo Bruno Touschek di Grottaferrata, referente Luca Piermarteri

ORA O MAI PIU’ from CASTELLI AL CINEMA on Vimeo.

Scuola: Liceo Scientifico Statale “B. Touschek” – Grottaferrata (RM)

Durata: 08’30
Anno: 2019
Formato: HD

Una storia d’amore al tramonto, un rapporto in crisi tra uomo e donna che non riguarda una sola coppia, ma l’intera umanità.

Regia: Leonardo Gioia e Michele Ciocci
Interpreti: Beatrice Scarso e Davide Fusco

Produttore esecutivo: Luca Piermarteri
Professoressa referente: Daniela Boccuti

TROUPE
Sceneggiatura: Giulia Apicella, Greta Campbell, Erica Angelini
Direttore di produzione: Sara Spagnoli
Aiuto-regia: Giulia Apicella
Operatore di ripresa: Tiziano Guadalupi
Fonico: Valerio Fasano
Scenografia, Costumi, Trucco&Parruco: Elisa Furia e Greta Campbell
Segretaria di edizione: Erica Angelini
Montaggio: Valerio Fasano

Credits: Primo premio miglior sceneggiatura e miglior attrice protagonista-  Castelli al Cinema: educare i giovani alle immagini del futuro,  realizzato all’interno del Piano Nazionale del Cinema per le Scuole e promosso dal MIUR in collaborazione con il MiBAC.

 

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Cambiamento climatico, bufale e piromani

di Gabriele Roscini e Giorgia Soriani, 16 anni, del liceo scientifico G. Alessi di Perugia (coordinamento Chiara Fardella, Annalisa Persichetti)

fake-news-cambiamento-climaticoIn questi ultimi anni, in cui si parla sempre di più del cambiamento climatico e della sua importanza, vi sarà sicuramente successo di sentir parlare di fake news e di negazionismo. In pratica, per ogni allarme climatico, si diffondono in rete false notizie che offrono spiegazioni alternative dei fenomeni disastrosi, travisano i fatti e le cause, smentiscono le analisi della comunità scientifica. E tale disinformazione ha successo, raggiunge le persone con enorme rapidità ed efficacia.

Ma quali sono queste fake news? Perché si creano e qual è il loro pericolo?

Ce lo spiega Francesca Buoninconti, naturalista di formazione che ormai da anni si occupa di comunicazione della scienza e di giornalismo scientifico.

Quali sono le principali fake news che circolano sul cambiamento climatico?

Beh di sicuro le principali fake news sul cambiamento climatico sono che non esiste o che non sia colpa delle attività umane. Sono almeno 40 anni che sappiamo di quanto e perché si sarebbe alzata la temperatura media globale. A svelare per la prima volta al mondo come l’anidride carbonica introdotta in atmosfera avrebbe cambiato le temperature della Terra è stato il Charney Report, nel 23 luglio 1979. Il rapporto aveva già individuato il colpevole – l’uomo – e prospettava un futuro disastroso se non si interveniva subito. Purtroppo così non è stato, tranne che in rari casi.

Come e quando nasce una fake news? Ci può fare un esempio?

E’ spesso in concomitanza di eventi catastrofici che nascono nuove fake news. È successo per esempio con gli incendi in Australia. Mi riferisco alla fake risalente ai primi di gennaio sulle “180 persone arrestate per gli incendi”. Una vera e propria bufala cavalcata dai negazionisti del clima. La realtà è che un comunicato della polizia del Nuovo Galles del Sud, lo stato più colpito dagli incendi, è stato travisato appositamente e rilanciato da alcuni siti, come InfoWars, conosciuti per le loro posizioni negazioniste sul clima, e da diversi bot e troll su Twitter con l’hashtag #ArsonEmergency (emergenza piromani). In realtà quel numero, usciva fuori da un’accozzaglia di dati che in buona parte non si riferiva neanche all’attuale stagione degli incendi. Di quegli oltre 180, solo 24 erano stati davvero arrestati per incendi dolosi negli ultimi mesi.

Secondo lei perché è stata creata questa fake news?

La somma era stata fatta appositamente e comunicata in modo distorto con l’hashtag #ArsonEmergency proprio per attribuire la responsabilità degli incendi ai piromani e non agli effetti del cambiamento climatico in corso, come invece sostengono gli scienziati e l’Australian Government Bureau of Meteorology.

Quale è il lato più oscuro delle fake news e del negazionismo?

La cosa più pericolosa è che la maggior parte delle volte, dietro la diffusione di una fake news, c’è un interesse preciso di chi la diffonde. Nel caso degli incendi in Australia si voleva smentire l’importanza e gli effetti del cambiamento climatico. Negare il cambiamento climatico significa, invece, non prendersene la responsabilità, soprattutto a livello politico ed economico.

C’è un modo per contrastare il cambiamento climatico?

Contrastare davvero il cambiamento climatico implica una rivoluzione del nostro mondo, del modo di fare qualsiasi cosa: dall’alimentazione ai viaggi, dalla mobilità cittadina allo stare su internet. E questo ovviamente ha un peso e un impatto su imprese, aziende e multinazionali, prima che su tutti cittadini.

In sintesi, negare i cambiamenti climatici fa comodo alla politica e all’economia, e la gente tende ad ascoltare volentieri e a credere a quello che la rassicura e la fa stare bene. Le fake news vengono costruite proprio per dire agli utenti quello che essi vogliono sentirsi dire, a volte anche per spaventarli ad arte e renderli affamati di rassicurazioni, di risposte che prontamente vengono fabbricate, deformando la percezione della realtà e la lucidità degli utenti.

A tutti piacerebbe credere che i cambiamenti climatici, con gli scenari disastrosi che ci minacciano, siano solo favole, che le piogge torrenziali, la siccità disastrosa, gli incendi, lo scioglimento dei ghiacciai siano fenomeni passeggeri, eccezionali, o peggio fisiologiche bizzarrie del pianeta che si riequilibreranno da sole. Purtroppo non è così, e finché nasconderemo la testa sotto la sabbia, come gli struzzi, per non vedere la realtà, la sabbia continuerà ad arroventarsi sempre di più, arrostendo le teste e tutto il resto.

Torino: da Motore per il Paese, a Città Avamposto per il Futuro.

di Alessio Richiardi, 28 anni, di Pinerolo (To)

biciclette-sharingSentiamo sempre più spesso parlare di ecosostenibilità ed ecologia: due termini che stanno permeando le radici delle nostre città ed il nostro modo di vivere, portandoci a compiere gesti quotidiani, anche piccoli, ma non per questo meno importanti, per aiutare il mondo ad essere più pulito. In altri termini, è come se prendessimo un pezzo rock conosciuto da tutti, tuttavia mai sufficientemente apprezzato per quanto realmente vale, e ne remixassimo una parte creando una nuova Hit Estiva.

È su questa onda pensiero che, negli ultimi anni, anche il modo dell’auto ha visto delinearsi una trasformazione radicale, che ha aperto la strada alla mobilità ecosostenibile; sono infatti molte le città europee che si stanno rivoluzionando e Torino, capitale dell’auto endotermica, vuole essere esempio lampante di innovazione e continui miglioramenti per rendere più green una città impregnata dal grigiore industriale.

#Micromobilità:

monopattini-elettrici-in-centro-a-torinoRecentemente i torinesi hanno visto la comparsa, vicino alle più tradizionali biciclette a noleggio, dei nuovi monopattini elettrici, che, con qualche semplice App, possono essere noleggiati a tempo, per compiere piccoli spostamenti nelle vie del centro. Questi mezzi, a fianco delle servizio di sharing delle biciclette, già presente da anni in città, rappresentano un fulcro fondamentale della micromobilità urbana, offrendo la possibilità di muoversi anche elettricamente in piena libertà, raggiungendo velocità di 30km/h, e garantendo un’autonomia di alcune ore. In questo modo, diventa molto gli spostamenti veloci senza dover usare la propria vettura diventano più efficaci.

#Carsharing:

bluetorino-alla-colonninaDa circa 3 anni a Torino è nato un progetto di Carsharing con veicoli totalmente elettrici: stiamo parlando di Blue Torino. Le vetture usate sono state create dal centro stile Pininfarina e rappresentano il fiore all’occhiello della mobilità in città, per via del loro propulsore 100% green. È possibile trovarle in molti punti di Torino, attaccate alle loro colonnine di ricarica,  pronte per essere prenotate e guidate dagli utenti che scelgono questo servizio. A una prima vista, sembrano piccoli ovetti dal design molto futuristico, ma gli interni, decisamente spaziosi e luminosi, derivano dalla ben più conosciuta Lancia Ypsilon. I costi prevedono un canone iniziale per il noleggio, in seguito le tariffe variano in base al tempo di utilizzo e ai chilometri percorsi.

#Hybrid:

Abbiamo parlato di mobilità in condivisione, ma, a partire da Febbraio 2020, i privati hanno anche la possibilità di acquistare le due nuove varianti delle Citycar di casa FCA. Il grande colosso dell’automobile ha infatti lanciato la Panda e la 500 in versione Hybrid, caratterizzate non solo per dal motore elettrico, ma anche dalle vernici a basso contenuto di catalizzatori e interni in plastica riciclata, raccolta in mare: un bel respiro per i nostri mari sempre più zeppi di plastiche!

Il simbolo H che contraddistingue i modelli e dà il nome alle due vetture deriva da cosa c’è sotto il cofano….. o forse meglio dire sotto il sedile passeggero… Già, perchè, se nel vano motore troviamo il nuovo 1.0 FireFly da 64cv, abbinato ad un cambio manuale a 6 marce, è sotto il sedile passeggero la vera rivoluzione. Lì, infatti, è stata alloggiata la batteria che regala 5cv in più al motore a benzina rendendolo così il primo motore ibrido di casa Fiat. Questa batteria svolge molteplici ruoli: sotto i 30km/h fornisce unica propulsione al veicolo, mentre in marcia va ad accoppiarsi al motore termico, per fornire maggiore spinta alle marce basse e regolarizzare i consumi ad alti giri, al fine di ridurre l’apporto di carburante ed i consumi: un bel risparmio per l’ambiente! La casa dichiara che all’anno si possono arrivare a spendere fino a 700€ in meno (*rispetto alle auto ad alimentazione tradizionale): un ottimo incentivo nel rispetto della natura.

il ventaglio di possibilità offerte copre gran parte di ció che è la mobilità ecosostenibile: ora gli utenti hanno tutte le carte in regola per poter viaggiare, in città e non, in massima libertà. Non resta che trovare il giusto compromesso per ognuno di noi.

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Green is the new black

di Maddalena Binda, 25 anni, di Carate Brianza (MB)

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“Vola con Ryanair perché abbiamo le emissioni di CO2 più basse tra le maggiori compagnie aeree d’Europa. Ryanair: emissioni più basse, tariffe più basse.” In Gran Bretagna, questo spot pubblicitario è stato cancellato nel 2019, dopo che l’ASA (Advertising Standard Authority) lo ha ritenuto ingannevole: le informazioni fornite dalla pubblicità in questione erano parziali e non aggiornate. Lo spot, in particolare, rivendicava un primato, quella di compagnia con le minori emissioni di CO2, basandosi su dati del 2011. Ryanair, inoltre, non specificava quali fossero le altre compagnie coinvolte. Sul loro sito, si enfatizza l’impegno ambientale di Ryanair che permette ai propri clienti di effettuare donazioni ad enti che si occupano della salvaguardia dell’ambiente: 2.5 milioni di euro raccolti. Il traguardo raggiunto è ben in evidenza. Nascosto all’occhio di chi scorre velocemente la pagina del sito web, però, è un altro dato: solo poco più del 2% dei clienti ha effettuato una donazione.

L’esempio di Ryanair, responsabile dell’inquinamento atmosferico e acustico, in quanto leader del settore dei trasporti aerei è uno dei tanti casi di greenwashing in cui il consumatore si imbatte quotidianamente. Il termine greenwashing è un neologismo: creato negli anni ’80, deriva dalla parola inglese whitewashing (riverniciare) e letteralmente significa “verniciare di verde”. Indica tutte le strategie di comunicazione che un’azienda attua per appropriarsi di pratiche sostenibili, anche se ciò non corrisponde alla verità, o di presentare le informazioni in modo ingannevole, confondendo il consumatore.

Con l’ondata dei movimenti Fridays For Future, l’attenzione ambientale è cresciuta: termini come naturale, sostenibile, eco-friendly vengono abbondantemente utilizzati nella pubblicità o sulle etichette dei prodotti, alimentari e non, che si trovano al supermercato. E tutto si tinge di verde perché il verde è il nuovo nero.

Nel 1992 è nato EU Ecolabel, il sistema di certificazioni europeo: dall’estrazione o la coltivazione delle materie prime fino ad arrivare alla fase di smaltimento o riciclo, passando per quella di lavorazione e di imballaggio, tutti i processi devono soddisfare alcuni criteri stabiliti. Il funzionamento dell’EU Ecolabel è controllato dal Regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio. Questo sistema di certificazioni, essendo garantito dall’UE è affidabile. Può servire al consumatore come garanzia di sostenibilità e come strumento di paragone per confrontare altri marchi che si definiscono “eco-friendly”.

Un ulteriore esempio di greenwashing riguarda la linea “Conscious” di H&M, noto marchio fast fashion: i capi di abbigliamento, rigorosamente dotati di un’etichetta verde, sono orgogliosamente promossi ed esposti nei vari negozi. Cercando maggiori informazioni sul sito dell’azienda, però, si legge che i prodotti della linea Conscious per essere certificati come tali devono avere il 50% di materiali sostenibili. E il restante 50%? La domanda nasce spontanea.

Il consumatore deve, perciò, restare sempre all’erta e diffidare di slogan e iniziative sensazionalistiche: non tutto quello che luccica è oro.

Anche il recente annuncio della creazione di un fondo per l’ambiente da parte di Jeff Bezos, CEO di Amazon, sebbene non sia definibile come caso di greenwashing, sfrutta la crescente sensibilità ambientale della popolazione per poter promuovere l’immagine dell’azienda. Il Bezos Earth Fund comporterà un finanziamento iniziale di 10 miliardi di dollari da devolvere a centri di ricerca e organizzazioni che si occupano della salvaguardia ambientale e dello sviluppo sostenibile. L’annuncio della generosa donazione segue le proteste di qualche centinaio di dipendenti che, negli USA, hanno iniziato a chiedere un cambiamento nelle politiche del colosso americano: ridurre le emissioni di gas serra prodotte dall’azienda entro il 2030, interrompere i finanziamenti alle società di combustibili fossili e ai membri negazionisti del Congresso americano. Il fondo, inoltre, sembra una risposta alle polemiche nate sul web per la sua donazione a seguito degli incendi in Australia: solo 690 mila dollari a fronte del suo patrimonio di quasi 130 miliardi di dollari.

Con gli strumenti che il consumatore ha a disposizione oggi, internet in primis, è fondamentale verificare la veridicità di iniziative o cambiamenti sostenibili che le maggiori aziende pubblicizzano per non cadere nell’inganno, acquistando prodotti sostenibili solo nella facciata. Alla fine, come dice il proverbio, l’abito non fa il monaco.

 

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I pirati dei Raee: tra abusivismo ed export illegale

inchiesta multimediale di Pietro Mecarozzi, 25 anni,

https://readymag.com/1290778
https://readymag.com/1309619

Umberto Eco la chiamava “bulimia senza scopo”, mentre nel gergo tecnico viene definita come obsolescenza percepita. L’esempio più comune per spiegare questo fenomeno, è quando un nuovo smartphone ci dà molto poco rispetto al vecchio, ma quest’ultimo diventa obsoleto dal momento in cui si viene attratti dal desiderio del ricambio. Il modello vecchio diventa così un oggetto d’antiquariato e di conseguenza il suo valore scende in picchiata, magari, nel giro di pochi mesi dal suo lancio sul mercato. I rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche, pertanto, sono anche quest’ultimi.
Comunemente conosciuti come Raee, a inserirsi in questa categoria sono tutte quelle apparecchiature di tipo elettrico o elettronico guaste, inutilizzate, obsolete o comunque destinate all’abbandono.
La tecnologia è in una fase di ascesa vertiginosa, come allo stesso tempo di invecchiamento precoce: il nuovo nasce con l’ombra di un modello ancora più moderno e all’avanguardia sulle sue spalle, e così via, a quanto si può prevedere, all’infinto. Un continuo ricambio generazionale, in termini di hi-tech.
Ma ci siamo mai chiesti dove finiscono i milioni di smartphone, di tablet o di lavatrici che ci apprestiamo a rinnovare al primo segno di usura o all’uscita di un modello esteticamente e tecnologicamente più promettente?

 

Il continente discarica

Nel 2018, a livello globale, sono stati prodotti circa 50 milioni di tonnellate di rifiuti elettronici, l’equivalente di 4.500 Torre Eiffel. Nel 2050 è stato calcolato che supereranno i 120 milioni, di pari passo con l’avanzare repente della tecnologia. Allo stato attuale, con un corretto smaltimento dei Raee si avrebbe un giro di affari di circa 62,5 miliardi di dollari: dovuti soprattutto alla presenza di ferro, oro, argento, rame e alluminio, ma anche di quei componenti cosiddetti terre rare (lantanio, ittrio, cerio, samario), ambìti in particolare dalle industrie militari e aerospaziali.
Tuttavia, la percentuale di Raee correttamente smaltita in termini globali è del 20%.
Dove finiscono quindi i rifiuti che non vengono trattati?

Calliope

Racconto di Marco Zuaro, 18 anni, di Monte Porzio Catone (Rm)

Parte 1

Matteo stava camminando verso la stazione. Il calore ristagnava nelle strade, e l’asfalto sembrava vibrare nell’accecante luce d’Agosto. L’aria era ferma, ma i suoi capelli biondi galleggiavano ritmicamente nell’aria, conferendogli una buffa area puerile che male si sposava con le lunghe gambe coperte dalla altrettanto bionda peluria adolescenziale. Nonostante il sudore impregnasse la t-shirt di cotone e la gola fosse secca per la sete, queste gambe procedevano a tamburo battente, senza dare alcun segno di volersi fermare. Con un area estremamente rilassata Matteo proseguiva la sua celere marcia, incitato dal peso del piccolo zaino che portava alle spalle, che ad ogni passo sobbalzava leggermente, ricordandogli il contenuto. Ogni volta che pensava di rallentare o fermarsi sotto l’ombra di uno dei grandi alberi del vialone, per far calmare i giramenti di testa che lo assalivano in fitte intermittenti, bastava un colpetto dello zainetto per ricordargli la sua missione e che doveva concluderla al più presto. Solo per una cosa si fermò: un vecchio sudato e grinzoso era seduto vicino ad una fontanella e chiedeva l’elemosina. Il cappello a terra era vuoto e il poverino sembrava molto sofferente nell’arsura. La vuotezza di quel cappello fece molta pena a Matteo, che senza esitazione infilò la mano nella tasca dei pantaloncini, estraendone una banconota da cinque euro tutta stropicciata che depose nel cappello a terra. La smorfia di dolore del vecchio si convertì in un sorriso di gratitudine che gli riempì il cuore di sincera e disinteressata gioia, e lo incoraggiò a proseguire lungo il suo percorso con nuovo entusiasmo. Appena il vecchio stabilì che il ragazzino era sufficientemente lontano, arraffò la banconota e la nascose in tasca, per poi riprendere la pantomima. (…)