Diversa cultura, stesso palato

di Francesca Bendolini e Eleonora Patucca, I liceo B, G.Alessi di Perugia, coordinamento Annalisa Persichetti e Chiara Fardella

foto-kebab pizza-italaina-2I cibi etnici hanno fatto la loro comparsa in Italia negli anni 90, all’inizio non erano molto conosciuti, ma ora fanno parte integrante della nostra vita quotidiana. I più rinomati sono: il kebab, il sushi, gli involtini primavera, il guacamole, il tajine. Da un sondaggio fatto tra gli alunni di alcune classi del nostro Liceo si è rilevato che si preferisce mangiare Sushi invece del Kebab. La maggior parte dei ragazzi preferisce gustare cibo italiano per esempio la pizza con una percentuale del 70%, invece con il 14% troviamo il kebab, al terzo posto c’è il sushi con il 12% e infine il cibo messicano con il 4%. Questi risultati sono dovuti anche al fatto che gli studenti e le studentesse non hanno tempo per mettersi seduti a tavola per le attività pomeridiane e proprio per questo decidono di mangiare uno spicchio di pizza invece di  gustare un pranzo completo a base di pesce. Con il passar degli anni anche nelle nostre zone si sono aperti vari ristoranti che cucinano esclusivamente cibo etnico, gustando il quale le persone si rendono conto delle grandi differenze fra le varie culture che troviamo persino nel cibo e delle potenzialità che queste cucine hanno per arricchire la gamma delle nostre scelte. Concludendo possiamo affermare che le culture diverse ci hanno permesso di conoscere e testare nuove pietanze che al giorno d’oggi fanno parte integrante della nostra società permettendo così una varietà di scelta sulla tipologia di alimentazione che può cambiare in base al gusto, alle tradizioni e al momento.

LO SAPEVATE CHE:

La pizza è stata inventata dagli Egizi e la chiamavano “Pita”; non ci crederete mai ma è stata proprio questa civiltà a creare l’abbinamento pizza/birra. All’inizio veniva preparata con il farro, che poi venne sostituto con il grano, mentre il pomodoro arrivò dopo la scoperta dell’America;

Il termine DONER KEBAB in turco, doner, significa rotante e Kebab, dall’arabo kabab, vuol dire invece carne arrostita. In Turchia, cuocere la carne di montone marinata sulla brace sotto forma di spiedino è usanza che risale al Medio Evo. Nel 1870, Iskender Efendi, un turco, inventò la cottura verticale per consentire al grasso, sciogliendosi dall’alto verso il basso, di rendere lo spiedino più morbido e saporito.

La parola SUSHI, non si riferisce al pesce, ma al riso condito con aceto, sale e zucchero L’idea di unire pesce e riso era nata per conservare più a lungo il pesce, siccome non erano ancora presenti i frigoriferi.

Non ci resta che augurarvi Buon Appetito secondo i propri gusti e il proprio palato!

La carne fa male? Come controllare le filiere del cibo?

di Edona Xhaferri, 18 anni, del liceo G. Alessi di Perugia, coordinamento di Annalisa Persichetti e Chiara Fardella.

“Mens sana in corpore sano” affermava Giovenale, e la prima cura della salute è una corretta alimentazione. Nell’età di Traiano però non esisteva internet, ed i Romani quindi hanno evitato quell’oceano di consigli ed imperativi sconsiderati che farciscono il web.

Il più alto potere persuasivo è esercitato sicuramente dagli allarmismi, che vietano come “cancerogeni” alcuni alimenti di origine animale.

Il web ha una così grande influenza sulle nostre scelte che raramente si ascolta la voce degli scienziati prima di scegliere cosa mettere nel piatto. 

Abbiamo perciò contattato i ricercatori della facoltà di Veterinaria dell’Università di Milano e abbiamo intervistato il dottor Simone Stella, del Dipartimento di Scienze Veterinarie per la Salute, la Produzione Animale e la Sicurezza Alimentare.

– Recentemente la Brambilla ha dichiarato che la carne rossa è cancerogena. Ritiene fondata questa affermazione?

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La classificazione degli agenti cancerogeni viene svolta dall’IARC (International Agency for Research on Cancer). Un gruppo di lavoro composto da esperti di diverse nazionalità ha svolto uno studio approfondito delle conoscenze scientifiche in materia (revisionando numerosi articoli su riviste scientifiche internazionali), e ha classificato il consumo di carni rosse come “probabile cancerogeno per l’uomo” (inserendolo nel gruppo 2A degli agenti cancerogeni). La forma di tumore che è stata associata con maggiore probabilità al consumo di carni rosse è quella che colpisce il colon. L’associazione fra consumo di carni rosse e aumento dell’incidenza di questo tipo di tumore è quindi nota, anche se i meccanismi sono ancora in gran parte da chiarire. Ovviamente il rischio dipende dalla quantità di carne rossa consumata; il World Cancer Research Fund raccomanda un livello massimo di consumo di carni rosse e trasformate pari a 500 g/settimana. Va comunque ricordato che, nella classificazione IARC degli agenti cancerogeni, non sono considerate le dosi: è quindi sbagliato, da un punto di vista scientifico, assimilare diversi agenti cancerogeni come se avessero lo stesso livello di rischio (come talvolta viene fatto, associando ad esempio il consumo di carni con il fumo).

– È vero che la carne bianca è più sana?

20180425_090523Se consideriamo il rischio di sviluppare tumori al colon, gli studi scientifici non hanno ad oggi rilevato nessuna correlazione con il consumo di carni bianche, e viene quindi considerata meno rischiosa.

Va comunque considerato che esistono ancora molti aspetti da chiarire riguardo ai meccanismi che correlano il consumo di carni e lo sviluppo di tumori: ad esempio, la presenza di contaminanti ambientali sembra maggiore nelle carni rosse, ma i dati a disposizione sono ancora limitati. C’è poi la possibilità di un effetto “confondente”, ovvero è nota la tendenza delle persone che consumano poche carni rosse a seguire uno stile di vita generalmente più sano, esponendosi così in modo minore anche ad altri agenti potenzialmente cancerogeni.

– Quanto e perchè è importante mangiare carne?

img-20180811-wa0054La carne rappresenta un alimento fondamentale dal punto di vista nutrizionale: ha infatti un elevato valore energetico, e contiene circa il 20% di proteine, fondamentali per la costruzione di tutti i tessuti corporei. Le proteine della carne, così come quelle provenienti da altri alimenti di origine animale, hanno inoltre un elevato “valore biologico”: questo parametro dipende dalla loro composizione, che le rende più facilmente utilizzabili dal nostro organismo.

– Cosa sono le carni processate che per il popolo della rete risultano cancerogene?

Le carni “processate” (la traduzione di “processed”, in italiano, potrebbe essere “carni trasformate”) sono le carni che sono state sottoposte a trattamenti quali ad esempio la salatura, la stagionatura, la fermentazione, l’affumicatura, in modo da renderle più appetibili e più conservabili. Si tratta principalmente dei salumi. Come per le carni rosse, è stata dimostrata un’associazione fra il consumo di carni trasformate e lo sviluppo di tumore al colon (sono infatti inserite nell’elenco stilato dall’IARC come “agenti cancerogeni” del Gruppo 1), ma, anche in questo caso, deve essere considerata la quantità che viene consumata e la frequenza di consumo.

– Molti allarmismi, invece, riguardano la cottura; cosa c’è di vero?

Diversi studi hanno rilevato la formazione di composti ad azione potenzialmente cancerogena a seguito della cottura a temperature elevate (es. maggiori di 150°C), anche se resta ad oggi da chiarire il reale ruolo della cottura in questo senso. La formazione di questi composti dipende da molti fattori, tra i quali il tipo di carne, il metodo di cottura (es. griglia, frittura) e la durata della cottura stessa (il loro contenuto aumenta con l’aumentare della temperatura e del tempo di cottura). Come per le carni crude, il rischio però varia molto in base alla quantità di queste carni che viene consumata, e non è facile fare una stima attendibile.

– Quali sono i pro e i contro di regimi alimentari “di tendenza” come vegetarianesimo e veganesimo?

Non è facile dare una risposta secca a questa domanda; qualunque regime alimentare può permettere, se adeguatamente bilanciato, di ottenere un buon risultato. Le posizioni su questo tema sono spesso estremamente nette. Certamente una dieta priva di carne è nutrizionalmente più povera, e, per essere idonea, richiede una scelta abbastanza precisa degli alimenti. Questa necessità risulta ancora più marcata nel caso di una dieta vegana, priva di qualunque fonte di proteine di origine animale. Le ragioni che conducono alla scelta su questo tema non sono però quasi mai di tipo nutrizionale, ma soprattutto etico-sociale, e richiederebbero una lunga discussione; l’importante è effettuare delle scelte basate, per quanto possibile, su conoscenze certe, evitando prese di posizione “a priori”.

AL SUPERMERCATO CON SICUREZZA

20190306_214338Offerta speciale o filiera controllata? Tracciabilità totale o Bio? OGM o no OGM? Ci aggiriamo smarriti tra le mille proposte del banco fresco e ci chiediamo cosa mettere nel carrello…. Per parlare della sicurezza alimentare abbiamo contattato una delle Istituzioni Scientifiche più importanti in Italia, che cura la salute di milioni di consumatori, controllando i più grandi allevamenti e industrie di produzione alimentare del territorio nazionale.

I nostri intervistati sono ricercatori della facoltà di Veterinaria dell’Università di Milano, Dipartimento di Scienze Veterinarie per la Salute, la Produzione Animale e la Sicurezza Alimentare. Il Dott. Simone Stella si occupa di Patologia Veterinaria e Ispezione degli Alimenti di Origine Animale Il Dott. Guido Grilli si occupa di Scienze e Tecnologie delle produzioni animali e Biosicurezza delle filiera zootecnica.

  • I consumatori hanno ampia offerta di carne a vario prezzo, ma sono confusi sulla scelta. Come si può acquistare carne sana?

C’è spesso una correlazione fra qualità della carne e prezzo: ad esempio le carni di animali allevati in modo più estensivo hanno costi superiori, così come quelle che sono state sottoposte a frollatura (maturazione) prolungata. Ma la diversa qualità non è collegata alla loro salubrità: la protezione dei consumatori è un obiettivo delle norme nazionali ed europee, e il consumatore pretende, giustamente, che tutte le carni presenti sul mercato siano salubri, perché a tutte le carni si applicano gli stessi criteri di produzione igienica.

Facendo un paragone, se un alpinista compra una corda per legarsi mentre arrampica e sceglie una corda che costa meno, non vuol dire che alla prima caduta la corda si spezzerà, perché tutti i costruttori di corde devono assicurare che queste reggano il peso.

– Marchi come il NO-OGM o il BIO possono garantire la completa sanità dei prodotti?

20190306_214408Questi marchi sono importanti per i consumatori perché indicano che gli alimenti sono stati ottenuti in condizioni particolari, con delle norme restrittive; ciononostante, la salubrità dei prodotti non dipende da questo, ma dal rispetto delle buone pratiche di produzione. Non ci sono evidenze scientifiche che dimostrino che gli alimenti biologici siano più o meno sani degli altri (hanno problematiche di tipo diverso), o che i prodotti contenenti OGM siano dannosi per la salute. Si tratta di scelte che possono essere fatte tenendo conto di altri fattori (es. impatto ambientale), ma per quanto è noto hanno poco a che fare con la salubrità dell’alimento. I consumatori sono tendenzialmente molto sospettosi nei confronti degli OGM, perché non ne conoscono i possibili rischi, ma questi ultimi sembrano, ad oggi, poco rilevanti. Le norme in vigore sono comunque molto protettive e prevedono che venga sempre valutato il rischio prima dell’utilizzo di organismi geneticamente modificati.

20190306_214430– Le etichette presenti sui vari prodotti animali sono attendibili e leggibili per il consumatore? (Es. Abbiamo trovato hamburger a “Tracciabilità totale” che garantivano carni da allevamenti biologici, con mangimi naturali, senza uso di ogm e antibiotici, ma in piccolo abbiamo trovato che tali garanzie coprivano soltanto gli ultimi 4 mesi di vita dell’animale…Che ne pensa?)

L’etichettatura, negli ultimi anni, si è “evoluta”, perché i legislatori europei hanno recepito la necessità di dare al consumatore molte più informazioni sui prodotti che acquista; questa tematica è molto dibattuta, perché deve coniugare esigenze di mercato ed esigenze informative dei consumatori. Oggi sugli alimenti, e in particolare sulle carni, sono presenti molte informazioni, che riguardano soprattutto la rintracciabilità. Ad esempio, le carni suine posso essere definite come ottenute da animali “allevati in Italia” se i suini hanno vissuto in un allevamento italiano per almeno gli ultimi 4 mesi di vita: questo significa che, nonostante l’animale sia nato in un altro Paese, consideriamo che, per acquisire una qualità “tipica” del nostro modo di allevare i suini, il periodo di 4 mesi sia sufficiente.

Le norme che riguardano l’etichettatura devono tener conto anche degli equilibri economici (es. necessità di importare animali o carni da altri Paesi), ma non hanno un impatto sulla salubrità. La carne di un animale allevato in Italia è più o meno sana di quella di un animale allevato all’estero? Non ci sono elementi per dirlo, e, come per altre tematiche, la scelta è guidata da altri elementi (es. sostegno economico degli allevatori italiani).

Edona Xhaferri

Dalla mucca pazza all’influenza suina: dobbiamo diventare tutti vegetariani?

di Manuela Tugliani, 16 anni, del Liceo G. Alessi di Perugia, coordinamento Annalisa Persichetti e Chiara Fardella

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La comunicazione incontrollata di allarmi sanitari sugli animali ha provocato e provoca tutt’ora psicosi collettive nei consumatori amplificate oggi dal passaparola della Rete.

La cattiva informazione spesso porta a prendere decisioni dettate da una credenza di massa, ed è questo il caso della riduzione del consumo di carne a causa di pandemie come l’influenza suina, l’aviaria e la mucca pazza. Ma quali di queste malattie vengono trasmesse realmente dagli animali agli uomini attraverso il consumo della loro carne? Per capirne di più ho deciso di intervistare degli esperti: la dott.ssa Raffaella Cardinali, dottore di Ricerca agraria, agr.phD; dell’ufficio Anagrafe Zootecnica di Confagricoltura Umbria, e  il professor Simone Stella dell’Università di Milano che si occupa di scienze veterinarie per la salute,la produzione animale e la sicurezza alimentare.

Bufale con le ali

di Sofia Cesaroni, 16 anni, del liceo Galeazzo Alessi di Perugia, coordinamento Annalisa Persichetti e Chiara Fardella

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Sin dal VI secolo a.c il miele è un importantissimo alimento per l’uomo. Definito il “dessert” naturale, ha subito tante diffamazioni e false credenze nel corso degli anni: e allora scopriamole! Come abbiamo detto il miele è un alimento dolce ma naturale, eppure per tanti anni si è creduto che il miele avesse degli zuccheri aggiunti, e alcune persone ancora lo pensano oggi! Ma perché si crede ciò?

davL’opzione più credibile è che la maggior parte degli apicoltori usa il candito per nutrire le api in inverno. Il candito è un alimento a base di glucosio e saccarosio che viene dato alle api in inverno, poiché anche le api hanno una stagionalità. Ciò significa che da marzo ad agosto sono produttive (cioè escono a nutrirsi di polline e producono il miele) ma negli altri mesi no. E come fanno a vivere se non escono dall’aria? Semplicemente con il candito. Questa credenza dello zucchero nel miele è stata accresciuta anche dal mistero che aleggiava intorno alla ricetta del miele fino agli anni ’50, tramandata di solito dalle famiglie. Ma grazie alla globalizzazione possiamo finalmente sfatare questo falso mito.

Altra notizia prettamente falsa: l’apicoltura è un settore “per vecchi”, destinato a morire. Assolutamente no! Le api sono di incredibile curiosità per i giovani d’oggi e una grandissima risorsa in quanto con un minimo investimento e poco lavoro si riesce a creare un profitto cospicuo con cui vivere anche nei mesi di non produttività. Ciò è dovuto all’ aiuto di contributi regionali ed europei che tengono alla salvaguardia delle api, ecosistema indispensabile per il nostro Pianeta. Ultima ma non meno importante è la credenza della regina. Una regina non è per sempre, non parliamo mica di diamanti! Ogni 3 anni, in media, va sostituita e curata regolarmente. Se tenuta in buone condizioni può vivere fino a dieci anni (una notevole differenza dalle operaie che in media vivono venti giorni). Come citato sopra è necessario mantenere una regina giovane e produttiva invece che vecchia e stanca. In conclusione se si vuole acquistare un buon miele consultare sempre l’etichetta, non dare peso al prezzo e (se possibile) risalire al luogo di produzione e confermare che rispetti le norme igieniche sancite dall’ USL. Verificare sempre che sia puro e filtrato, se si parla di barattoli confermarne il sigillo di freschezza. Buon appetito!

Meteorologia: meteobufale o scienza sociale?

di Giuseppe Lavopa, 27 anni, di Bari

La Giornata mondiale della meteorologia ha esaltato le scienze atmosferiche, allertando contro le meteobufale. Il commento del colonnello Daniele Mocio

Il Colonnello Daniele Mocio
Il Colonnello Daniele Mocio

Comunicare il tempo, per un meteorologo, è diventato difficile. Grazie a internet, infatti, le notizie si susseguono con estrema rapidità. Anche le notizie meteo acchiappano click e condivisioni con messaggi a effetto, sensazionalistici, che talvolta sfociano in meteobufale.  Il colonnello Daniele Mocio, meteorologo volto noto della TV, ha lanciato questo monito durante la Giornata mondiale della meteorologia 2018.

«La meteorologia – ha ricordato il colonnello Mocio – non è ricerca dello scoop, è una scienza che richiede passione, studio e competenze. Il meteorologo deve trasmettere questa passione comunicando dati e misurazioni con semplicità, per metterli al servizio di applicazioni concrete». All’università La Sapienza di Roma, esponenti della comunità meteorologica hanno dimostrato come la meteorologia è uno strumento fondamentale per affrontare le sfide ambientali e sociali imposte dal cambiamento climatico.

Meteorologia e il mondo che cambia: agrometeorologia e cooperazione internazionale

Entro il 2050, la Terra ospiterà 9.8 miliardi di persone. Occorre preservare in maniera sostenibile la fertilità della terra, diminuendo lo spreco di risorse, l’inquinamento e anche i conflitti sociali.

«L’agrometeorologia – ha spiegato Francesca Ventura, docente all’Università di Bologna – studia le interazioni tra suolo, pianta e atmosfera. Si possono prevedere luoghi e momenti propizi alla coltivazione. Grazie all’agrometeorologia, l’Italia è diventata seconda produttrice di kiwi dopo la Nuova Zelanda». Gli agrometeorologi, inoltre, assistono gli agricoltori nella agricoltura di precisione. «Lo studio delle condizioni meteo – ha proseguito Ventura – permette di organizzare l’irrigazione e prevedere la propagazione di agenti patogeni, limitando l’uso di fitofarmaci e risparmiando lo spreco di acqua».

Antonello Pasini, fisico del clima al CNR, ha studiato i nessi tra cambiamenti climatici, desertificazione e crisi internazionali. «Attraverso modelli matematici – ha spiegato Pasini – abbiamo riscontrato che i terroristi reclutano più facilmente seguaci in quelle terre impoverite dal surriscaldamento. Le rilevazioni meteo possono aiutarci a studiare i conflitti ambientali, per organizzare operazioni di pace e integrazione».

Meteorologia e rischio idrogeologico: prevedere per reagire

Il cambiamento climatico sta causando eventi atmosferici eccezionali, da cui dipendono emergenze sul territorio quali frane e inondazioni. Il sistema di allerta meteo della Protezione Civile raccoglie costantemente previsioni meteo, per elaborare scenari di rischio e quindi piani di allerta e prevenzione.

«Le previsioni meteo – ha spiegato Carlo Cacciamani, dirigente della Protezione civile – hanno sicuramente margini di incertezza. Livelli di allerta crescenti garantiscono un livello di prevenzione omogeneo sul territorio e, nel contempo, evitano inutili allarmismi». In caso di forti piogge in una regione, ad esempio, il grado di allerta sarà diverso per ogni località: l’allerta maggiore riguarderà i territori su cui si prevede una maggiore precipitazione.

Meteorologia: scienza (in)esatta

La meteorologia, dunque, fornisce preziosi contributi alla società, seppure in termini di previsioni, scenari, modelli. I media, tuttavia, ci hanno abituato a previsioni meteo fornite con largo anticipo e con toni tutt’altro che moderati. Di qui alle meteobufale il passo è breve. «Una buona previsione meteo – ha ricordato il colonnello Mocio – richiede padronanza del linguaggio, solide competenze e una corretta contestualizzazione dei dati nello spazio e nel tempo. Le previsioni – ha concluso il colonnello – sono sempre giuste, ma il tempo fa comunque quello che gli pare».

Microfert

di Verde Conti e Jacopo Rocchi, della II media D dell’istituto Don Milani di Monte Porzio Catone (Rm)

Oggi, 13 marzo 2019, stiamo assistendo all’inaugurazione di un nuovo fertilizzante potentissimo capace di far crescere completamente una pianta da frutto in 2/3 settimane.

L’azienda in questione è la Biochemical, con sede a Paterno’ (CT), che oggi ha aperto le porte ai coltivatori di tutto il mondo con un tour nella fabbrica e relative spiegazioni sulla fabbricazione di questo nuovo concime.

L’addetto che ci ha illustrato la preparazione ci ha spiegato che oltre ai normali elementi nei concimi (ovvero azoto, fosforo e potassio) hanno aggiunto un ingrediente inaspettato: le microplastiche.

Alla scoperta il pubblico è rimasto sbalordito ma anche preoccupato per i possibili effetti negativi della plastica sui frutti ma gli addetti hanno assicurato che la procedura segreta di preparazione delle microplastiche elimina tutti gli effetti negativi e invece a contatto con una miscela di loro invenzione acquisisce capacità inaspettate. Il prodotto entrerà in commercio domani 14 marzo 2019 sia nei negozi sia online.

Per informazioni : wow.biochemical.lol o microfert@gorgonzola.mia

Noi siamo certi che molte altre aziende possano prendere esempio da essa e che possano anche loro inventare oggetti della vita di tutti i giorni completamente riutilizzabili e/o riciclabili utilizzando materiali inquinanti.

Vietato mangiare carboidrati a cena?

di Uesli Vishkulli, III media E, Istituto Perugia 9, coordinamento Federico Panduri

All-focusPane, pasta, e riso sono alimenti ricchi di carboidrati, nutrienti che il nostro corpo utilizza in via preferenziale per ottenere energia, tuttavia molti hanno la convinzione che i carboidrati debbano essere esclusi dalla dieta, o che sia meglio assumerli durante il giorno e non la sera.

I fautori di questa seconda teoria sono i fanatici della cronodieta, i quali sostengono che gli orari di assunzione di cibo hanno un’importanza fondamentale sulle variazioni ormonali che il nostro organismo ha nel corso della giornata. La cronodieta è al centro di diverse ricerche scientifiche che mirano a comprendere come l’assunzione di diversi pasti in diverse fasce orarie, possano giocare un ruolo importante nell’aumento o nella perdita di peso.

Studi e ricerche fino ad oggi effettuati, infatti, hanno sempre dimostrato e sostenuto la tesi secondo la quale il nostro organismo sarebbe in grado di bruciare più facilmente i carboidrati assunti al mattino. Questo perché le attività svolte nel corso della giornata favorirebbero il loro smaltimento. Una volta giunti alla sera, invece, tutto ciò che si mangia viene immagazzinato e si trasforma in grasso. 

Gli esperti dell’Istituto Superiore di Sanità spiegano però che ciò a cui è necessario prestare attenzione è di non consumare a tarda sera pasti abbondanti e “calorosi”, poiché l’energia in eccesso viene più difficilmente bruciata e può essere accumulata sotto forma di grasso corporeo. Inoltre è importante abituare l’organismo a non mangiare carboidrati ad ogni pasto, lasciando passare un buon numero di ore tra un’assunzione e l’altra. Questo andamento a picchi e depressioni permetterebbe al nostro corpo di smaltirli con facilità, a prescindere dall’orario in cui si sceglie di mangiarli.

Inoltre, per chi ha difficoltà a prendere sonno, una cena a base di carboidrati può favorire il riposo stimolando la produzione di serotonina (l’ormone del benessere), utile per rilassarsi.

Si può concludere che si ingrassa principalmente per un eccesso di calorie introdotte e per una errata distribuzione di nutrienti rispetto al fabbisogno dell’organismo. Per questo è necessario stare attenti a consumare carboidrati in porzioni adeguate al proprio fisico, all’età e all’attività fisica svolta. È consigliabile assumere quotidianamente una quantità di carboidrati pari al 45% fino a un massimo del 60% del totale delle calorie giornaliere assunte, ma non di eliminarli dalla nostra dieta.