Cambiamenti climatici: i laghi ne risentono più degli oceani

Lago Trasimeno Umbria

di Chiara Brozzi, III F liceo scientifico G. Alessi di Perugia, redazione de La Siringa, coordinata da Annalisa Persichetti

Lago di Molveno Trentino

La maggiore fornitura di acqua dolce potrebbe essere in pericolo. L’allarme è stato reso noto dalla NASA e dalla Science Foundation statunitense: i laghi sembrano patire il caldo più degli oceani.
Gli esperti delle due organizzazioni hanno preso in esame le temperature registrate negli ultimi venticinque anni di oltre la metà delle riserve lacustri mondiali, 235 laghi, aiutandosi anche con i satelliti. Dai dati raccolti emerge come le acque si stiano scaldando di 0,34 gradi ogni dieci anni, arrivando addirittura a 0,72 gradi nei laghi ad alta altitudine (fonte: ANSA.it) Dati che mostrano chiaramente come i laghi si stiano surriscaldando ad un ritmo nettamente più veloce di aria e acqua.
Il fenomeno riguarda tutte le diverse aree climatiche del nostro pianeta: nei climi nordici, in primavera i laghi perdono prima la copertura del ghiaccio, assorbendo quindi più raggi solari; ai tropici invece il pericolo riguarda la fauna, il riscaldamento è infatti meno intenso, ma pericoloso per i pesci.
Le conseguenze del surriscaldamento saranno molteplici: le alghe che potrebbero sottrarre ossigeno all’acqua aumenteranno del 20%, mentre quelle tossiche per i pesci cresceranno del 5%.
Conseguenze non trascurabili e che forse stanno già avvenendo.

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Patate su Marte? La Nasa ci prova

di Gabriele Ripandelli, 16 anni di Perugia.

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Il mondo diviso in due: tu da quale parte ti schieri?

Siccità, frane,piogge acide,terremoti e maremoti: i cambiamenti climatici stanno mettendo in grave difficoltà la nostra vita e quella del mondo che ci circonda! “Incredibilmente” i maggiori colpevoli siamo noi, o meglio la maggior parte di noi, che nel tempo con comportamenti inadeguati e quasi sempre senza pensarci abbiamo danneggiato gli ambienti in cui viviamo. Ma una speranza ancora c’è: alcune persone si stanno battendo per cercare di salvare il salvabile e recuperare i danni prodotti da noi e dai nostri predecessori.

Sono principalmente scienziati, come quelli del gruppo di ricerca frutto della collaborazione tra la Nasa e il Centro Internazionale per la Patata. Il loro progetto ha un importantissima doppia funzione: aprire le porte della colonizzazione di Marte e la creazione sulla terra di patate più resistenti e nutrienti della norma. Riguardo alla prima è evidente lo spunto dal film “The Martian” ed è collegata direttamente alla seconda perché delle patate coltivabili su Marte sarebbero coltivabili nella zona più arida della Terra riuscendo a superare la fame nel mondo e a contrastare i cambiamenti climatici. Il terreno utilizzato  per simulare le condizioni marziane proviene dai deserti delle Pampas e l’atmosfera controllata ha una maggiore quantità di anidride carbonica( su Marte è il 95%, mentre sulla terra solo lo 0,04%).

Questi tentativi di creazioni di potenziali per migliorare i tenori di vita, però, possono essere validi solo se abbinati ad un ottima conoscenza sulle caratteristiche delle specie. A fare questo tipo di studio sono stati i ricercatori del Trinity College di Dublino coordinati da Yvonne Buckley. Si sono posti l’obiettivo di scoprire come i vari tipi di piante avrebbero reagito ai cambiamenti climatici e attraverso un database  hanno esaminato 418 specie attraverso i dati sulla loro sopravvivenza, crescita e riproduzione andando a vedere con particolare attenzione i punti in comune. Una ricerca sulle caratteristiche delle specie è stato svolto dalle università svedesi di Umea e delle Scienze agricole  attraverso il primo studio sul metabolismo delle piante basato su dati storici. Dai campioni conservati negli erbari del ‘900 esaminati attraverso la spettroscopia di risonanza magnetica nucleare, una tecnica che esamina le proprietà fisiche e chimiche dei nuclei atomici o delle molecole, è risultato che le piante nell’ultimo secolo hanno modificato il loro metabolismo per adattarsi all’aumento di anidride carbonica da assorbire data l’ingente quantità prodotta dall’uomo.

banca semi
Banca dei semi nelle isole Svalbard: una speranza per l’umanità

Questo dato fa riflettere ancora più precisamente sul come stiamo modificando le caratteristiche del pianeta Terra aumentando la quantità di co2 presente nell’atmosfera e che se si va a vedere nel passato il livello attuale è molto più alto di quello standard. Possono confermarlo i resti fossili di una foresta presente nell’artico tra 420 e 360 milioni di anni fa  che sono stati trovati dall’università britannica di Cardiff guidato da Chris Berry. Il sito  è nelle isole Svalbard che all’epoca si trovavano nella zona dell’equatore ma dopo i movimenti tettonici ora si trovano tra le aree più a nord di quelle abitate dall’uomo. Gli alberi fossili erano licopodi, una specie che raggiungeva anche i 30 metri di altezza, e che furono responsabili di un crollo rapido di 15 volte dell’anidride carbonica.

In quelle isole oggi si trova anche la Banca globale dei semi, una sorta di mega cassaforte nel mezzo dei ghiacciai(bunker) che contiene tutto ciò che si può piantare e che si deve conservare per la biodiversità. Infatti contiene centinaia di migliaia di sementi ad una temperatura tale da resistere per migliaia di anni ed anche in caso di guerra o cataclisma. Inoltre, quasi tutti i paesi, compresa l’Italia che lo ha a Bari, hanno una “banca nazionale” o una rete di istituti che provvede alla conservazione di semi.

Attraverso questi sistemi di sopravvivenza anche alle catastrofi climatiche abbiamo una certa sicurezza che grazie alla genialità degli inventori dà una grande speranza. Infatti la situazione mondiale può essere ancora recuperata unendoci e limitando dai piccoli gesti a quelli di valore maggiore tutte quelle cose che facendo senza pensarci o per nostra ignoranza  danneggiano l’ecosistema. Ricordiamoci poi che crescere una piantina con i nostri sforzi dà sempre soddisfazione  e felicità  vedendola una volta  che è grande e bella grazie a noi La terra da millenni si adatta alle nostre condizioni di vita, ora  sei pronto a dargli tu una mano per aiutarla a sopravvivere?

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Giganti alla fame

di Raffaele Bianco, di 15 anni, della redazione La Siringa di Perugia

Le balenottere azzurre sono già state vittime della caccia spietata dell’ uomo per ricavarne carne, grasso e olio. Ma adesso è un disastro climatico a costituire la nuova minaccia per questi giganti dei mari. Una minaccia che giunge dal plancton, da sempre alla base di molti ecosistemi, in quanto principale fonte di nutrimento di numerosi esseri viventi marini tra cui proprio la balenottera azzurra, il cetaceo più grande del mondo.

immagine caccia alle balene

Questa, specie secondo molteplici ricerche è già a rischio di estinzione, ma il clima sta togliendole il cibo e la popolazione dei cetacei potrebbe uscirne irrimediabilmente decimata. Il riscaldamento globale influisce infatti sul comportamento di alcuni esseri viventi ed arriva addirittura a portarli a un nuovo stadio dell’evoluzione. Il plancton avrebbe infatti sviluppato delle sacche composte da un sottile strato di materiale organico che gli permette di vivere come in una bolla nella quale le condizioni di vita sono per lui ideali. Alcune ricerche avevano già evidenziato la formazione di questa membrana ma l’evoluzione si sarebbe dovuta completare nell’arco di almeno alcuni secoli. Ormai invece l’innalzamento delle temperature ha velocizzato il processo in maniera esponenziale e lo sta portando a compimento in poco più di un decennio con conseguenze disastrose per l’intero ecosistema. I molti consumatori di plancton, infatti, in seguito alla mutazione, non saranno più in grado tra pochi anni di cibarsi del plancton stesso. Se non troveranno quindi un’altra fonte di nutrimento nel breve periodo moriranno di fame e intere specie, come le balenottere azzurre,  potrebbero scomparire per sempre dal nostro pianeta andando incontro all’estinzione. Non si sa ancora, tuttavia,  quali saranno esattamente le possibili conseguenze su questa e sulle numerose altre specie coinvolte nella catena alimentare marina nonostante siano molteplici le ipotesi da parte di tanti studiosi. La più accreditata è quella che prospetta un progressivo ma inesorabile “crollo dell’ecosistema”. Sarà infatti difficile per la natura sostituire un gradino così basilare nel 98% degli ecosistemi marini. Ma l’uomo, stavolta, sarà in grado di rimediare ai danni da lui stesso provocati al nostro pianeta?immagine planctonLa risposta può arrivare dall’Alaska dove un team di capaci e tenaci scienziati sta lavorando ormai alacremente da mesi per trovare un valido sostituto alimentare in altri microrganismi che una volta liberati negli oceani dovrebbero diffondersi e svolgere la funzione che tra poco non svolgerà più il plancton. La ricerca ha presentato varie possibili alternative ma si sta ancora cercando quella ideale in quanto a caratteristiche nutrizionali e ad adattamento all’ambiente.

Il problema è divenuto ora quanto mai urgente e una soluzione a livello internazionale si rende necessaria sia da parte dell’intera comunità scientifica che da parte dei governi nazionali affinché stanzino ulteriori fondi e risorse a sostegno della ricerca.

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Energia sostenibile, come sarebbe la situazione climatica odierna se i pannelli solari fossero entrati in funzione negli anni trenta?

di Edoardo Amitrano, 15 anni, di Monte Porzio Catone (Roma)

Pannelli fotovoltaici, turbine eoliche, turbine idroelettriche sono solo alcuni esempi di moderne apparecchiature che ci permettono di sfruttare fonti di energia rinnovabili per la produzione di energia. Lo sviluppo di queste tecnologie ha preso piede solamente negli ultimi decenni e gli effetti positivi sul clima tardano a palesarsi; la situazione sarebbe diversa se l’impiego di pannelli solari fosse iniziato settanta anni fa? immagine_02L’idea di sfruttare il sole per ricavarne energia era già stata applicata dai tedeschi nei primi anni Trenta ricalcando il principio degli specchi ustori di Archimede: le enormi possibilità di questi macchinari spinsero la Germania ad investire nella ricerca in campo scientifico e l’incaricato della ricerca, il Dott. Wilhelm Maier, elaborò un progetto che avrebbe permesso  – stando a quanto riporta la rivista Signal del 1941– di pompare acqua da fiumi o laghi per irrigare piantagioni in zone aride dell’Africa utilizzando interamente l’energia prodotta da pannelli solari. L’idea prevedeva l’installazione di specchi concavi ai Tropici capaci di concentrare i raggi solari in un singolo punto di piccole caldaie contenenti olio, il quale veniva riscaldato e successivamente trasferito all’interno di un secondo attrezzo e miscelato insieme ad acqua che, evaporando, permetteva di azionare vari meccanismi. L’olio utilizzato nel processo veniva poi separato dall’acqua e riutilizzato nelle caldaie. Maier aveva inoltre previsto la necessità di poter orientare i pannelli verso l’astro per poter massimizzare l’efficienza dei macchinari, ideando una superficie girevole orientata regolarmente in modo da ricevere verticalmente i raggi solari durante qualsiasi ora del giorno. Il progetto finale prevedeva il posizionamento di piattaforme girevoli di circa 10 mq. massimizzando così l’efficienza, migliorando le prestazioni dei precedenti prototipi da 30 mq. L’utilizzo dei raggi solari per svolgere diverse funzioni non è in realtà un’idea nuova all’uomo: la possibilità di concentrarli un unico punto, cioè nel cosiddetto fuoco dello specchio, venne sfruttata concretamente da Archimede con i suoi specchi ustori durante l’assedio di Siracusa. immagine_01Si pensa infatti che tramite questi grandi vetri posizionati sulle coste di Siracusa, fosse possibile appiccare incendi sulle navi concentrando il fascio di luce sulle vele. Guardando a tempi più recenti già nel 1767 Horace-Benedict de Saussure ideò un sistema di cottura utilizzante una pentola di legno e un sistema di specchi capace di generare fino a 109 gradi Celsius di calore. Successivamente nel 1830 questo metodo venne ottimizzato in Inghilterra da John Herschel e nel 1891 vedremo il primo sistema di riscaldamento dell’acqua per usi sanitari ad opera dell’americano Clarence Kemp. Tuttavia furono effettivamente i tedeschi negli anni trenta i primi ad immaginare un diverso impiego di questo principio, cioè la produzione di energia. Mentre prima questi sistemi venivano impiegati solamente per il riscaldamento dell’acqua e del cibo, adesso tramite la produzione di vapore sarebbe stato possibile alimentare qualsiasi tipo di macchinario industriale, come per esempio pompe idrauliche e compressori.  Purtroppo lo sviluppo del progetto venne accantonato a causa degli elevati costi di realizzazione e della crescente necessita di fondi per la guerra in corso, ma l’idea messa a punto dagli scienziati tedeschi non è stata abbandonata, ma anzi con l’avvento delle nuove tecnologie è stata ripresa e migliorata. Le cosiddette centrali solari termodinamiche utilizzano specchi concavi che concentrano la radiazione solare non più in caldaie ma in singoli tubi al cui interno scorre  un particolare fluido termovettore, che permette di migliorare le prestazioni rispetto alla semplice acqua. L’installazione di queste strutture sta lentamente prendendo piede nel mondo di pari passo con i tradizionali pannelli fotovoltaici, un esempio è la centrale solare Archimede di Priolo Gargallo in Italia voluta dal premio Nobel Carlo Rubbia. Purtroppo la battuta di arresto subita dal progetto ci ha fatto perdere preziosi anni che sarebbero potuti essere impiegati nel miglioramento della tecnica. Se lo sviluppo di tali strumentazioni e la loro implementazione non fossero stati interrotti probabilmente il livello di tali tecnologie oggi sarebbe più avanzato, e l’utilizzo su larga scala di tali apparecchiature avrebbe portato ad un significativo miglioramento della situazione climatica globale con la riduzione dell’utilizzo di combustibili fossili e, di conseguenza, si sarebbe evitato l’attuale eccessivo riscaldamento globale.

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