Dalla mucca pazza all’influenza suina: dobbiamo diventare tutti vegetariani?

di Manuela Tugliani, 16 anni, del Liceo G. Alessi di Perugia, coordinamento Annalisa Persichetti e Chiara Fardella

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La comunicazione incontrollata di allarmi sanitari sugli animali ha provocato e provoca tutt’ora psicosi collettive nei consumatori amplificate oggi dal passaparola della Rete.

La cattiva informazione spesso porta a prendere decisioni dettate da una credenza di massa, ed è questo il caso della riduzione del consumo di carne a causa di pandemie come l’influenza suina, l’aviaria e la mucca pazza. Ma quali di queste malattie vengono trasmesse realmente dagli animali agli uomini attraverso il consumo della loro carne? Per capirne di più ho deciso di intervistare degli esperti: la dott.ssa Raffaella Cardinali, dottore di Ricerca agraria, agr.phD; dell’ufficio Anagrafe Zootecnica di Confagricoltura Umbria, e  il professor Simone Stella dell’Università di Milano che si occupa di scienze veterinarie per la salute,la produzione animale e la sicurezza alimentare.

A tal proposito si esprime la dottoressa Cardinali:
“Parlare di sicurezza alimentare in Italia non è facile. Le questioni di sicurezza alimentare diventano troppo spesso, senza che ve ne siano reali motivazioni, “scandali alimentari”. È importante analizzare questo fenomeno, comprenderne le ragioni per individuare come cambiare questa pericolosa tendenza, che porta non solo confusione e sfiducia del consumatore, ma anche danni economici rilevanti al nostro sistema produttivo. Un altro fattore che dovrebbe rassicurare noi italiani è la rigidità dei regolamenti alla base della produzione di carne sul nostro territorio. Nelle carni italiane è impossibile (reati a parte) trovare la presenza di ormoni o antibiotici che possano influire sulla qualità del prodotto.

L’Italia può vantare una produzione alimentare di qualità e ragionevolmente sicura, ma il cittadino italiano è tra i più sfiduciati d’Europa e troppo spesso quando sorge un problema si trasforma in “scandalo alimentare”. Il problema urgente non è incrementare e migliorare i controlli, anche se uno sforzo in tal senso non deve mai mancare, bensì rivedere la comunicazione del rischio.

Questo ovviamente non significa che non ci siano problemi. Ritiri di prodotti, sequestri, crisi alimentari sono anche da noi una realtà. L’Italia peraltro vanta il primato tra i paesi europei del maggior numero di segnalazioni al sistema di allerta rapido europeo, il che non indica solo che ci siano in effetti problemi alimentari, ma è anche una conferma del fatto che i controlli vengono fatti.”

A proposito della pandemia H1N1, detta anche influenza suina, la riduzione del consumo di carne di maiale aveva una giusta motivazione dal punto di vista scientifico?

Risponde il professor Stella: “Il ruolo del suino nella trasmissione dell’influenza anche all’uomo è dibattuto, il virus umano deriva da una ricombinazione genetica di diversi virus, tra i quali è possibile sia coinvolto quello suino. In passato è stato segnalato il passaggio di virus dal suino all’uomo, ma questo evento è legato al contatto diretto con i suini (es. allevatori). Non è escluso che le carni suine fresche contengano, in alcuni casi, il virus, ma la trasmissione attraverso il consumo è molto improbabile. Le autorità sanitarie consigliano comunque la cottura delle carni fresche, trattamento che uccide rapidamente qualunque virus. I prodotti stagionati (es. salami, prosciutti) e i prodotti cotti non rappresentano alcun rischio per il consumatore.

Per quanto riguarda la mucca pazza, il consumo della carne di bovino determina la trasmissione agli uomini di queste malattie?

Risponde la dottoressa Cardinali: “Nel caso dell’encefalopatia spongiforme bovina (BSE) o più comunemente ‘morbo della mucca pazza’, consumare carne contaminata da materiale cerebrale infettato dal rione può scatenare la versione umana del morbo della mucca pazza, la malattia di Creutzfeldt-Jakob. Oggi è stata praticamente eradicata in Europa, ma a partire dagli anni ’80 ha prodotto una vera e propria epidemia, scatenata da un prione diffusosi nelle farine animali consumate dai bovini. La causa scatenante della BSE e del morbo di Creutzfeldt-Jakob nell’uomo è un prione, ovvero una proteina definita come “agente infettivo non convenzionale”. Non essendo né un virus né un batterio, esso si trasmette in maniera peculiare inducendo le proteine sane ad assumere una forma molecolare anomala. Il prione aggredisce il tessuto neuronale, ed è proprio per questo che tra le prime contromisure per ridurre il rischio di contagio si è vietata la vendita del cervello, della colonna vertebrale, dei gangli e anche delle interiora dei bovini”.

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Ci può fornire un esempio di una cattiva comunicazione che ha scatenato terrori ingiustificati sul consumo della carne? 

Risponde il professor S. Stella: “Un esempio molto indicativo della cattiva comunicazione in campo alimentare è rappresentato dall’influenza aviaria. Nel 2005, in occasione del diffondersi dell’infezione nella popolazione di polli in Estremo Oriente, si verificarono alcuni casi umani in quell’area del mondo, legati al contatto diretto uomo-polli. I mass media italiani, allora, diffusero la notizia di un grave pericolo di contagio per l’uomo in Europa e anche in Italia (si parlò addirittura di un milione di persone che si sarebbero potute ammalare). Questo allarme provocò un blocco quasi completo del mercato delle carni di pollo, mettendo a rischio fra l’altro molti posti di lavoro (allevatori, macellatori, ecc.), mentre dal punto di vista scientifico era ben noto che non c’era alcun rischio di contagio tramite il consumo delle carni. Ci fu poi un tentativo di correre ai ripari, con una puntata di telegiornale durante la quale il conduttore prese in mano e mangiò un pezzo di carne di pollo per dimostrarne la sicurezza. Come si suol dire, la stalla era chiusa, ma i buoi erano ormai scappati; in altri casi si è assistito per fortuna ad una maggiore prudenza, almeno da parte delle testate giornalistiche principali”.

• La cottura della carne può eliminare gli agenti patogeni?

Risponde il professor S. Stella: “La cottura della carne è un trattamento efficace nell’eliminare quasi tutti gli agenti patogeni (virus e quasi tutti i batteri); alcune accortezze devono essere però applicate:

– Il raggiungimento di una temperatura sufficientemente alta delle carni. Quando la carne è ben cotta, cambia colore: ciò vuol dire che le sue proteine sono inattivate; allo stesso modo, sono inattivate anche le proteine dei batteri, che non sono più pericolosi. La cottura “al sangue” è accettabile per delle bistecche (che non hanno batteri all’interno), ma nel caso degli hamburger rappresenta una pratica non sicura.

– Una corretta gestione delle carni cotte: una ricontaminazione batterica delle carni dopo la cottura può essere problematica, quindi queste carni devono essere protette dal contatto con superfici sporche, consumate in tempi brevi o conservate a temperature di refrigerazione ottimale (max 4°C). Va ricordato che alcuni batteri producono spore resistenti alla cottura,che possono germinare nelle carni cotte mal conservate e provocare tossinfezioni alimentari.
• Attualmente la pubblicità propone al consumatore la scelta di carni non trattate con antibiotici, sono veramente più sane e sicure?

Risponde la dottoressa R. Cardinali: “La dicitura “senza antibiotici” sta a indicare che la carne proviene da animali allevati senza uso di antibiotici. Comunemente, questa dicitura viene interpretata come se fosse la carne stessa a non contenere residui di antibiotici. Questo è vero da un lato, ma la mancanza di residui vale anche per qualsiasi tipo di carne in commercio, in quanto per legge, dopo la somministrazione degli antibiotici, bisogna seguire dei giorni di sospensione in cui gli animali non ricevono antibiotici prima di essere macellati. Pertanto non è necessario comprare carne “antibiotic free” per evitare di ingerire residui di antibiotici.

Al tempo stesso non è garantito che gli animali allevati senza uso di antibiotici siano più sani, anzi, è possibile che nessun miglioramento di benessere animale sia connesso con l’antibiotic free. Se si vogliono prodotti da animali allevati in condizioni migliori (e quindi più sani), non è necessario comprare la carne antibiotic free, ma piuttosto quella proveniente da razze più robuste (come quelle a lento accrescimento nel caso dei polli) e da animali allevati all’aperto o con metodo biologico.

Al tempo stesso non è garantito che comprare antibiotic free aiuti a combattere l’antibiotico resistenza, perché oltre a non avere informazioni su come sono stati migliorati i sistemi di allevamento per arrivare all’antibiotic free, non abbiamo neanche nessuna informazione su quanti e quali antibiotici (anche di importanza critica o “salvavita”) sono stati somministrati agli animali nei primi giorni di vita e fino ai tempi di sospensione indicati in etichetta (es. “negli ultimi 4 mesi di vita”).

Quali sono i criteri scientifici per certificare la sanità della carne?

Risponde il professor S. Stella: “I principali criteri che vengono utilizzati per stabilire la salubrità delle carni sono di tipo microbiologico e chimico.

Le carni, così come le altre tipologie di alimenti, sono sottoposte a piani di controllo microbiologico da parte delle aziende produttrici e dell’autorità sanitaria (ASL-AUSL). Viene principalmente valutata la presenza di batteri patogeni: i più importanti sono:

– Salmonella, un patogeno intestinale che rappresenta una delle principali cause di tossinfezione alimentare nel nostro Paese, e

– Listeria monocytogenes, un patogeno diffuso nell’ambiente che provoca malattie piuttosto rare ma talvolta molto gravi (aborto, encefalite)

– Campylobacter, un patogeno intestinale frequente nei polli, che provoca frequenti ma lievi malattie intestinali.

Per quanto riguarda le sostanze chimiche, un piano di controllo nazionale (PNR-Piano Nazionale Residui) prevede il prelievo di diversi campioni (fra cui anche le carni) per la ricerca di composti chimici pericolosi, quali ad esempio residui di farmaci, ormoni, contaminanti ambientali, ecc.

Inoltrarsi nel mondo di internet con imprudenza, basarsi solo sui media o, addirittura, solo sul nome di una malattia, causa psicosi di questo genere, che danneggiano l’economia e in alcuni casi anche le persone stesse. La rete porta spesso ad inoltrarci in una catena infinita di informazioni che mirano a darti più quella che è l’opinione personale di persone inesperte, piuttosto che quello che effettivamente è valido e scientificamente confermato. È importante perciò valutare le informazioni che si ricevono e, in special modo, da chi si ricevono.

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