Articolo di Filomena Picchi, 25 anni, di Civitanova Marche
Orti urbani, permacoltura, mercatini del baratto: si può cercare l’essenziale anche in città. Per esempio facendo un corso di transition training (ne nascono ovunque, basta una ricerca su google per trovarne). Cos’è una città di transizione (transition town, appunto)? L’idea è nata in Irlanda e in Inghilterra non più di 7 anni fa, ed è già nota in tutto il mondo. L’obiettivo è quello di preparare le comunità ad affrontare la doppia sfida del riscaldamento globale e del picco del petrolio. Rob Hopkins, esperto di permacoltura, ha dato il via al movimento partendo da uno studio fatto di approcci multidisciplinari e creativi riguardo alla produzione di energia, salute, educazione, economia e agricoltura, verso un futuro sostenibile delle città. In siti d’informazione come ilcambiamento.it si legge che molte città italiane stanno ospitando gruppi di transizione. Granarolo, seconda realtà italiana ad aderire al movimento dopo Monteveglio, ha iniziato nel 2008 a tessere la rete delle collaborazioni. “Alcune proposte – spiega Marco, uno dei fondatori – erano già presenti a Granarolo quando abbiamo cominciato ad osservare la situazione. Tra tutte, la Banca del Tempo, a cui abbiamo semplicemente aderito, cercando di proporre eventi e sinergie per amplificarne la rilevanza. Fare rete con l’esistente è fondamentale, non serve creare alternative dove ci sono già, piuttosto serve individuarle, valorizzarle, lavorare insieme a loro”. Collaborazione, dunque, è la parola d’ordine.