Tristram Stuart e il cibo dei maiali (4018)

(dal nostro inviato Ilaria Romano)

E voi, lo yogurt scaduto lo mangiate o lo buttate? Tristram Stuart, ricercatore a Cambridge, lo mangia. Veramente, sono 18 anni che questo ragazzone biondo si nutre in gran parte di cibi recuperati dai bidoni degli scarti di supermercati, mercati, aziende agricole, fabbriche di sandwich. “E’ iniziato tutto quando avevo 15 anni: allevavo maiali, come si fa da secoli. Il maiale mangia gli scarti, poi diventa cibo a sua volta. Un giorno aprendo i sacchi degli scarti per i maiali mi sono reso conto che avrei potuto dividere con loro la mia colazione: nelle buste della spazzatura c’era tanto cibo freschissimo”.

Oggi Tristram Stuart è un ragazzone biondo, fa il ricercatore all’università di Cambridge, è promotore del movimento freegan (free + vegan, rapporto col cibo gratuito e vegano) e ha frugato nei bidoni dell’immondizia di mezzo mondo, prendendo nota di quanto cibo buttiamo. Dai suoi studi è nato un libro, intitolato  Sprechi. Il cibo che buttiamo, che distruggiamo, che potremmo utilizzare (Mondadori, 2009). Per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla questione sprechi, un anno fa a Trafalgar Square tristram ha preparato un pasto – gustoso – per cinquemila persone fatto con ingredienti recuperati: quelli che sarebbero finiti nel cestino.

Stamattina Stuart era a Ferrara, al Festival di Internazionale, per una colazione con cibo recuperato in città nell’ambito del progetto Last Minute Market, e per discutere con Andrea Segrè, preside della facoltà di Agraria a Bologna, degli scarti dell’industria alimentare. In una prospettiva rovesciata: dalla spazzatura alla tavola. “E’ disgustoso, certo, ma perché i bidoni dell’immondizia sono pieni di cibo freschissimo e buono da mangiare: tutto il contrario di come dovrebbe essere. Si butta via roba da mangiare in ogni punto della catena del consumo”.

Per la precisione gli sprechi di cibo ammontano a 22 milioni di tonnellate l’anno, “Il 3% del pil – calcola Segrè. Una quantità che potrebbe nutrire la popolazione della Spagna”. Il problema è il mercato, col suo alterato concetto di valore del cibo: la carota storta, la mela picchiata dalla grandine, la patata dal diametro insufficiente non sono considerate degne di essere vendute e comprate  e finiscono per essere gettate via. Il mercato fa perdere il valore che il cibo ha al di là del prezzo sull’etichetta.

Nel pianeta che conta un miliardo di affamati e 500milioni di obesi – facce diverse della stessa medaglia per un denominatore comune: la malnutrizione – “lo spreco però è un falimento del mercato” e, dal punto di vista culturale ed economico, un peccato capitale e un insulto. Perché “il cibo è un concentrato di risorse – dice Stuart: – energia, lavoro umano, e soprattutto terra e acqua. Quindi se lo sprechiamo sprechiamo anche tutte le risorse che sono servite a portarcelo in tavola. Prima di tutto terra e acqua; e siccome siamo animali terrestri, dipendenti in tutto dal pianeta, lo spreco rappresenta una minaccia per la nostra stessa sopravvivenza”.

Per continuare coi calcoli, oggi gran parde dei paesi producono il 3-400% in più delle quantità di cibo che coprirebbero il fabbisogno nutrizionale della popolazione. Se un moderato surplus – intorno al 130% – è sano, ed è quello che ha garantito la crescita delle civiltà offrendo copertura alimentare nelle annate scarse e rendendo possibili vendite e scambi, oggi il sistema è completamente saltato. L’eccesso di cibo schizza fuori dalla catena del consumo sotto forma di pomodoro dalla forma strana scartato direttamente sul campo, o di yogurt vicino alla scadenza eliminato dagli scaffali del supermercato, di sementi che non rispondono agli standard del mercato, o – per citare una delle ultime ricerche di Stuart – sotto forma delle fette di apertura di ogni pagnotta utilizzata da una fabbrica di sandwich. Da ogni pezzo di pane si scarta la prima fetta, che di solito ha una forma irregolare. Così finiscono nella spazzatura il 17% di ciascuna pagnotta, e un totale di 13mila fette di pane al giorno nella sola fabbrica visitata da Stuart. “Uno spreco che non possiamo più permetterci”.

Anche se “secondo i calcoli con questi scarti potremmo nutrire il doppio della popolazione”, la soluzione di impacchettare l’eccesso e spedirlo a chi è malnutrito si è rivelata inadatta e perdente, sia per ragioni macroeconomiche che per motivi evidentemente pratici Tristram Stuart ne riassume il “perfetto nonsense” in un esempio: il primo mondo compra il grano per fare il pane negli stessi mercati internazionali dove lo comprano i popoli affamati a cui poi si propone di consumare il pane sprecato nei supermercati del mondo industrializzato, mentre “la sola cosa da fare sarebbe non toglierglielo di bocca”.

E allora, che fare? Per Segrè, “i prodotti che hanno perso il loro valore commerciale continuano ad avere quello speciale del dono, dello scambio di anime”, e devono essere raccolti in modo sostenibile per donarli a chi non li può acquistare. Un ottica che in emilia Romagna ha portato alla nascita di Last Minute Market: il progetto, presieduto da Segrè, dal 1998 si occupa di “trasformare lo spreco in risorse”, recuperando e ridistribuendo prodotti alimentari invenduti, ma anche sementi, pasti pronti non consumati nelle mense di scuole e ospedali, libri destinati al macero e prodotti farmaceutici ancora utilizzabili. Vengono rimessi in circolo dagli enti di beneficenza del territorio, con numerosi vantaggi: dalla riduzione dei rifiuti alla copertura di necessità sociali. Ma la base del non-spreco è proprio non-sprecare: scegliere con consapevolezza nuovi stili di vita, e farci “massa critica” di consumatori essenziali.

ILARIA ROMANO


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