WORKSHOP – Si fa presto a dire green

di Filippo Maria Mazara, 27 anni, Roma

Nel febbraio scorso, si è svolta a Milano la seconda edizione del WiGreen, un Forum sulla Sostenibilità ambientale, promosso dalla Srpim Italia (azienda di consulenza strategica nel campo della Salute dell’Uomo e dell’Ambiente. Il leit motiv dell’evento è stata la salvaguardia dell’ambiente e lo spreco alimentare, ambientale ed economico. Ad aggiudicarsi il premio quest’anno è stata la Curtiriso, che ha introdotto un sistema ed un processo moderno di tecnologia industriale. In pratica, l’azienda, sfrutta una centrale termica a biomassa che genera e rigenera energia, riducendo a zero l’emissione di anidride carbonica. Continua … »


WORKSHOP – Si fa presto a dire green

di Pietro Ielpo, 24 anni, Roma

“Green: a wishfulthinking?” così esordisce a inizio workshop Sergio Ferraris (Direttore QualEnergia) che dà il via al discorso su come misurare la “greenicità”, termine coniato per questa avventura di giornalismo ambientale e scientifico. Questo “pensiero desideroso” ha legami ben radicati in ambito di produzione, finanza e mercato, per il nostro esperto. Ci spiega che l’Italia è stata una delle prime nazioni nel riciclo degli olii usati (per necessità, a dire il vero, e povertà, che a volte risulta essere una virtù).
Dai dati Coou, il Consorzio obbligatorio degli oli usati, si scopre che nel 2011 l’Italia ha rigenerato l’ 88 per cento degli olii divenendo così il leader contro quest’altissimo impatto ambientale. Il Green ha contribuito inoltre a nuove assunzioni (green-job) nel Belpaese e con l’avvento dell’IT (Information Technology) si sono abbattute anche le obsolescenze in ambito di produzione (il ché non è detto che sia un bene), contribuendo perà così ad una maggiore greenicità dei prodotti (ad esempio gli elettrodomestici più efficienti energeticamente). Raccoglie il testimone un giurista, esperto di Diritto ambientale, Tullio Berlenghi, che ci mostra il lato Green dell’ambito giuridico in Italia. Un nuovo termine suscita l’interesse del pubblico dell’Università di Tor Vergata: “Greenwashing”. L’esperto ci spiega essere la pubblicità della presunta greenicità di un prodotto, un termine negativo a tutti gli effetti, che significa “pittata di verde”, un vestitino ad hoc messo su senza sostanza. Una “pittata” che ha valore di operazione di marketing e che ammicca ad una produzione di un bene che può essere “naturale”, “verde”, “riciclabile”, insomma apparentemente non dannoso per l’ambiente, ma tacendone i reali percorsi e dettagli di sostenibilità.
Sia Berlenghi che Diego Scipioni, il linguista che ha definito green e greenwashing, e anche Sergio Ferraris ci invitano a tener sempre d’occhio le certificazioni green dei prodotti, capendone il significato. Esistono molte associazioni, fondazioni e metodologie che si occupano del rilascio di tali “bollini”, primo dei quali quello di Life CycleAssestment (LCA) che, come ci spiega in seguito Fabio Iraldo (Professore di Management ambientale all’Istituto di Management della Scuola Superiore San’Anna di Pisa) è una metodologia che valuta un insieme di interazioni che un prodotto o un servizio ha con l’ambiente, considerando il suo intero ciclo di vita, includendo le fasi di preproduzione, produzione, distribuzione, uso, riciclaggio e dismissione finale. Continua … »

WORKSHOP – Si fa presto a dire green

di Marco Harmina, 22 anni, Roma

Per rispondere a tale domanda sarebbe ottimale per il lettore spiegare cosa si intenda per green. Questo è il modo in cui ultimamente viene indicato tutto ciò che ha a che fare con il rispetto per l’ambiente. Questo cambiamento di etichetta, in realtà non riguarda solamente la terminologia della titolazione, ma più un’espansione del settore stesso, volto ad abbracciare più argomenti riconducibili tutti alla stessa “matrice”: la greenicità. Il termine “green” ha debuttato anche nel dizionario statistico, sorgendo in una piccola infografica all’interno della pubblicazione annuale “Italia in cifre”, elaborata dall’Istat. Tale operazione ha fatto sì che si concedesse il giusto valore, la stessa importanza che si addice a qualsiasi svolta o cambiamento. Molte sono infatti le innovazioni nell’ambito della coscienza ambientale, novità che hanno portato a rilevare dati e indicatori su energia verde, aree protette e consumo di suolo: hanno dato il via ad un nuovo movimento, quasi uno stile di vita. Continua … »


WORKSHOP – Si fa presto a dire green

di Helodie Fazzalari, 19 anni, Roma

 

E se fosse Bloch a possedere quella che Heidegger chiamava “essenza della verità”, quel concetto tanto meditato da Kant, quel tassello mancante, quell’ultimo numero, quella chiave che apre la mente umana e rivela ciò che l’apparenza nasconde e ciò chela bocca omette? Bloch comprende quanto sia grande l’insoddisfazione umana, tanto da portare l’uomo stesso a stancarsi del bene che la natura gli ha offerto, tanto da cercare qualcosa di meglio con la conseguenza di distruggere ciò che di bello aveva, tanto da doversi infine accontentare della distruzione che le sue stesse mani insoddisfatte hanno generato.

Analogia azzardata la mia, ma a mio avviso completa. Racchiude perfettamente quel ciclo umano che finisce per concludersi con il degrado, con l’amaro in bocca, e con l’annichilimento più totale di anima, corpo e in questo caso ambiente! Un annichilimento che da anni ormai si cerca di superare, e che in parte si cerca di nascondere, vuoi per comodità, per la fretta, o per scarse risorse economiche.

È questo l’esempio di Fabio Iraldo al workshop “Come si misura la greenicità” (per il ciclo “Si fa presto a dire green”) organizzato da Giornalisti Nell’Erba all’università di Roma Tor Vergata. ”Oggi come oggi, di fronte a due prodotti identici ma di prezzo differente si è portati a scegliere quello con il costo inferiore”. Iraldo ha quindi sottolineato come prima cosa il problema economico, e ha continuato: “Oggi come oggi” (e forse neanche un tempo, aggiungo io) “nessuno di noi si sofferma a leggere le etichette dei prodotti sugli scaffali del supermercato, tanto meno si presta particolare attenzione a quelli che possono essere prodotti più o meno GREEN, e quando lo si fa, c’è il rischio di incorrere nell’errore”. Perché? Dove sta l’errore? La risposta è la cattiva informazione. Spesso infatti capita che un prodotto,che ad esempio limita le emissioni di CO2, possa inquinare più di un altro, che nonostante non sia etichettato GREEN, è stato realizzato con materiali di gran lunga meno inquinanti del primo prodotto. Come fare allora? Come distinguere il GREY dal GREEN, in una società dove riesce quasi impossibile la messa a fuoco dei colori? Continua … »


WORKSHOP – Si fa presto a dire green

di Luca Crosti, 23 anni, Roma

Al giorno d’oggi viviamo circondati da un numero infinitamente grande di oggetti, più o meno utili alla nostra vita. Ci siamo mai chiesti, però, qual è il loro impatto sull’ambiente? Se questo si possa misurare e cosa comporti produrli? Ebbene, la risposta è sì, un metodo c’è e può essere utilizzato da tutti quegli enti o imprese che vogliono dedicarsi allo sviluppo sostenibile.

Proprio di questo abbiamo parlato con Fabio Iraldo, professore associato di Management ambientaleall’Istituto di Management della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e direttore della Ricerca IEFE (Centro di ricerca Politiche economiche energetiche e ambientali presso l’Università Bocconi),durante il workshop “Come si misura la greenicità?”, tenutosi il 20 marzo scorso presso l’Università degli Studi di Roma Tor Vergata.

Ma come è strutturato questo metodo? Il nome stesso può già dire qualcosa. «Viene definito dell’analisi del ciclo di vita dei prodotti o dei servizi poiché l’impatto ambientale viene valutato dall’estrazione delle materie prime dalla terra fino alla restituzione del prodotto inutile all’ecosistema.  –spiega il Prof. Iraldo – Ogni singola fase viene analizzata». Continua … »


WORKSHOP – Si fa presto a dire green

di Anna Carosi, 19 anni, Roma

La sensibilità ambientale è una conquista recente: fino al secolo scorso si è pensato in termini di crescita e produzione, e solo recentemente si è fatta strada la consapevolezza dell’impatto ambientale dei prodotti e delle azioni necessarie per produrli.

Fra le prime tappe “ufficiali” di questa consapevolezza Tullio Berlenghi – giurista ambientale, relatore al workshop di Giornalisti Nell’erba sul tema “Come si misura la greenicità” – indica la data del 1972, quando il Club di Roma, un’associazione non governativa di scienziati, commissionò al Massachusetts Institute of Technology di Boston il rapporto (ormai famoso)  I limiti dello sviluppo, “per valutare le conseguenze della crescita di alcune variabili fondamentali: popolazione mondiale, industrializzazione, inquinamento, produzione alimentare e consumo di risorse”. Continua … »


WORKSHOP – Si fa presto a dire green

di Andrea Giannetti, 21 anni, Roma

Risparmio energetico ed energia pulita sono valori chiave per una formula vincente contro l’inquinamento ambientale. Da dove cominciare? Non possiamo pensare la quotidianità senza tener conto dell’edificio in cui viviamo. E’ proprio a questo proposito che vogliamo analizzare cos’è e come funziona la “Certificazione energetica degli edifici”.

L’ Attestato di certificazione energetica (ACE), tramite un meccanismo analogo a quello utilizzato per la classificazione degli elettrodomestici o dei veicoli, permette di stimare il livello dei consumi energetici primari di un immobile e di conseguenza ci offre un quadro indicativo dei loro costi.
Il certificato viene rilasciato da un professionista abilitato, che sulla base di dati tecnici e calcoli mirati, definisce la classe energetica di appartenenza dell’edificio (A +, A, B, C, D, E, F e G)che ne evidenzia le prestazioni e le caratteristiche.

Gli scopi della Certificazione Energetica possono essere molteplici. Primo tra questi la sensibilizzazione sulle problematiche energetiche ed ambientali mirata tanto ai professionisti quanto ai cittadini. Inoltre il certificato energetico di un edificio si propone come guida per orientare proprietari di immobili, costruttori o semplici inquilini a prediligere gli edifici con elevati standard energetici, grazie anche alla ormai nota convenienza in termini economici di un’abitazione “green”.

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WORKSHOP – Si fa presto a dire green

di Alba Pietrantuono, 22 anni, Roma

Quanto contribuiscono al riscaldamento globale le cose che facciamo ogni giorno? Come capire quando un prodotto è davvero ecosostenibile? Scopriamolo insieme.

Preferite mangiare un cheeseburger sotto casa invece che prendere un treno e andare a casa di vostra nonna a pranzo? Scelta sbagliata. Non solo perché non passerete del tempo con vostra nonna e non mangerete cose genuine, ma avrete anche inquinato l’ambiente. Proprio così, un cheeseburger equivale a 30 km in treno. Pensate di scrivere una mail invece di recavi a casa di qualcuno?

Rifletteteci bene, un anno di mail inquina come 300 km in auto; inoltre, ogni volta che accendete un computer state emettendo la stessa impronta di carbonio di un volo di andata e ritorno da Glasgow a Madrid. Per permettere all’intero sistema produttivo italiano di migliorarsi c’è bisogno che tutto il Paese sostenga l’innovazione ambientale. Ma soprattutto è importante capire quanto ognuno, nelle scelte e nei piccoli gesti quotidiani, è fondamentale in questo cambiamento. Continua … »


WORKSHOP – Si fa presto a dire green

di Antonio Ferretti, 23 anni, di Latina

“E’ la prima azienda birraia al mondo ad essere certificata EPD”, dice con orgoglio Laura Marchini, capo della comunicazione di Carlsberg Italia. Ha ben 5 marchi con il bollino Environmental Product Declaration, tra cui le bottiglie dell’italiana Poretti.  Ma come c’è arrivata, la Carsberg, a decidere di iniziare il suo percorso di greenicità? Marchini si rifà alla storia delle due famiglie (Jacobsen di Copenhagen, data di inizio 1847, e Poretti di Induno Olona, che parte nel 1876 investendo tutti i suoi guadagni nella creazione del birrificio) e alla mission dell’azienda che rappresenta: “Sviluppare l’arte di produrre birra al massimo grado di perfezione a prescindere dall’immediato profitto in modo da far riconoscere i prodotti e le birrerie come modelli di qualità”. Continua … »

WORKSHOP – Si fa presto a dire green

di Adalberto Cossetti, 25 anni, Roma

Anche il Ministero dell’Ambiente vuole misurare la greenicità delle aziende. Quand’era ministro Corrado Clini, infatti, il dicastero ha dato il via al Programma nazionale per la valutazione dell’impronta ambientale. Gli aderenti, si legge sul sito, sono ad oggi circa 200 tra aziende, comuni e università.  Tutti volontari, selezionati dal ministero stesso o autoproposti. Lo scopo è quello di trovare un modo per misurare l’impronta ambientale (carbon footprint e water footprint) dei prodotti/servizi e quindi  “di sperimentare su vasta scala e ottimizzare le differenti metodologie di misurazione delle prestazioni ambientali, tenendo conto delle caratteristiche dei diversi settori economici, al fine di poterle armonizzare e renderle replicabili”.

Non se ne leggono tutti i nomi, per un problema del software del sito stesso, ma solo una ventina. L’elenco inizia con Benetton, che ha firmato un accordo per “l’analisi e alla contabilizzazione delle emissioni di CO2 (carbon footprint) legate alle attività produttive dello stabilimento Benetton in Tunisia.  In particolare si valuterà l’impronta ambientale relativa a due prodotti della linea “bimbo” (t-shirt e polo). Nell’ambito dell’accordo si valuteranno tutte le possibili misure di riduzione e di neutralizzazione dell’impronta ambientale che prevedono l’utilizzo di tecnologie e delle best practice a basso contenuto di carbonio, al fine di ottenere prodotti carbon neutral (ad emissioni compensate)”. Continua … »