Un esempio di essenzialità (italiano) (9530)

Articolo e fotoreportage di Martina Cavallaro, 21 anni, di Tradate (in italiano) e di Paola Danitza Hernandez Rojas, 22 anni, di Callao (Perù) (in spagnolo).

Mucche pazze. Polli alla diossina. Miele blu in Alsazia. Bambini che, portati per la prima volta in una fattoria, non riescono a credere che le cotolette che mangiano alla mensa della scuola abbiano una faccia e si muovano. Qualcosa non va. Siamo abituati, quando vogliamo qualcosa, ad andare al supermercato o in macelleria: la filiera alimentare si è talmente tanto allungata e complicata che abbiamo perso ogni rapporto con quello che mangiamo. Anche quando leggiamo sulle etichette che i prodotti sono frutto di agricoltura biologica o di allevamento “a terra” non ne siamo veramente sicuri: il caso delle lasagne all’emiliana con carne di cavallo è stato un esempio lampante. Non sono cambiate solo le cose che abbiamo nel piatto ma siamo cambiati anche noi, le nostre abitudini, i nostri desideri, il nostro modo di rapportarci con gli altri e con il mondo. E’ diventato ormai impensabile vivere in maniera diversa.


Proponiamo qui una testimonianza che arriva dall’altra parte del mondo: dalla cordigliera delle Ande per l’esattezza. Le foto mostrano il piccolissimo villaggio di Villa Union , nella provincia di Ongoy sulle Ande centro-meridionali (vedi foto 1 e2). Come in alcuni paesini d’Europa fino a pochi decenni fa, qui l’economia si basa quasi esclusivamente sull’agricoltura e la pastorizia. Si coltiva soprattutto mais di diverse varietà (foto 9 e 10) con cui si fanno bevande e dolci come la chicha de jora e l’humita ; e vari tipi di tuberi (foto 5-8). La maggior parte delle famiglie allevano capre, maiali, galline, porcellini d’india e nelle zone più alte anche i lama (foto da 11 a 17), e producono da sé il necessario per vivere. Quassù la gente parla ancora il quechua, l’antica lingua degli Inca. Questo non significa che ci troviamo in una sorta di paese risalente all’età della pietra: non mancano né l’acqua, né la luce, e nemmeno la possibilità di telefonare agli amici o di guardare la tv. Nulla impedisce alla gente che ci abita di trasferirsi in uno dei paesini più grandi alle pendici dei monti o delle grandi città come Lima o Arequipa. Eppure anche qui la vita scorre. Sicuramente più lenta e più difficile, ma non per questo meno autentica.
IL MIO VIAGGIO IN PERU’ di Danitza Hernandez
Non tornavo in Perù da nove anni e prima di allora non ero mai stata nel paese della mia abuelita, la mia nonna, sulle Ande. Sono rimasta lì per due settimane, isolata dal resto del mondo, condividendo le abitudini e i ritmi del suo villaggio. Pensavo che mi sarebbero aspettate due settimane di relax ma mi sbagliavo. La mia giornata cominciava al mattino presto, quando abuelita mi svegliava alle 6 e mi faceva fare un’abbondantissima colazione a base di zuppa di kalabaza (una specie di zucca verde fuori e bianca al suo interno), mais cotto e patate con formaggio. Dopodiché la seguivo per tutta la giornata aiutandola nelle sue mansioni quotidiane: dal portare al pascolo le capre, al dar da mangiare alle galline, zappare, ecc… sarebbe stato comico per un osservatore capitato lì per caso vedere me, giovane ventenne nel pieno delle sue forze, arrancare su un metro di terra mentre mia nonna settantenne aveva già finito quasi tutto il lavoro. Con il passare dei giorni però mi sentivo più disinvolta, camminavo più velocemente e non sentivo più la stanchezza come all’inizio.
Pur passando la maggior parte della giornata in mezzo ai campi e tra gli animali, mia nonna ha anche un piccolissimo negozietto davanti alla scuola del paese. Visto che le persone provvedono da sole al cibo di ogni giorno, le cose che vende sono quaderni, bevande e dolci di vario tipo e soprattutto il pane poiché abuelita è l’unica del villaggio a saperlo fare. Quando i clienti venivano al negozio la maggioranza parlava in quechua, anche i bambini che all’entrata e uscita da scuola riempivano il negozio per comprare un sacco di dolci e caramelle. Anche se non li capivo molto mi davano una gioia immensa perché erano timidi ma allegri allo stesso tempo. Al pomeriggio, se non dovevamo stare in negozio, io e la nonna facevamo delle lunghe passeggiate tra le montagne, godendoci il panorama mozzafiato e facendo delle lunghe chiacchierate. Uno dei più bei giorni –e anche uno degli ultimi- che ho passato lì è stato quello del mio compleanno: era la prima volta dopo tantissimo tempo che lo passavo circondata dai miei parenti, molti dei quali non avevo mai conosciuto, e per l’occasione mia nonna ha cucinato un’immensa mole di cibo. Solitamente ai compleanni si ricevono vestiti, trucchi o soldi, io invece ho ricevuto porcellini d’india, galline e formaggi. Ho apprezzato moltissimo questi regali anche perché non mi era mai capitata una cosa del genere ed è stato qualcosa di unico ed emozionante.
Durante il mio viaggio ho potuto godere di un paesaggio meraviglioso, di cibo naturale e di tante altre cose belle, ma devo dire che sono rimasta molto colpita anche dalla condizione di povertà in cui le persone vivono. Sapevo che sulle Ande ci fosse molta povertà ma essere sul posto è tutta un’altra cosa. Ho notato che molti bambini non andavano a scuola o frequentavano saltuariamente perché dovevano aiutare i propri genitori a lavorare nei campi. Non è il tipo di povertà a cui siamo abituati a pensare: non si soffre per la fame, né per le malattie e tutti hanno una casa e una famiglia, ma in un certo senso la gente si accontenta di quello che ha e non sente la necessità di cambiare il proprio stile di vita. Molti partono per la città per lavorare o addirittura emigrano per guadagnare abbastanza ma sempre per poi tornare nel proprio villaggio. Anche abuelita ha fatto così: da giovane si è trasferita a Lima, ha lavorato, si è fatta una famiglia e quando le sue figlie sono state abbastanza grandi è tornata a Villa Union. Penso che lì le persone stiano così bene perché vivono dell’essenziale. Come dice mio nonno: “In città è tutto facile perché hai tutto pronto; qui non è cosi ma sei soddisfatta del tuo lavoro”.
Il ritorno in città è stato come tornare in un’altra realtà, ma penso che allontanarmi da tutto per due settimane mi sia servito. Internet, cellulare e altre comodità non mi sono veramente mancate anche se in qualche occasione mi sarebbe piaciuto condividere con i miei amici le meravigliose esperienze che vivevo ogni giorno. Alla fine del viaggio ho potuto fare un bilancio: da un lato tanti “meno” -comodità, internet, supermercati, trasporti veloci, e così via- ma anche tanti “più”. Non solo sapevo da dove veniva quello che mangiavo ma avevo contribuito a crearlo io; non avevo una macchina a disposizione e ci volevano ore a piedi a raggiungere la città più vicina ma in questo modo ho potuto conoscere meglio i luoghi in cui passavo.
Non sono andata a Villa Union con la cartina in mano e una macchina fotografica professionale, non ho vissuto in albergo e non sono partita con l’obiettivo di scoprire nuovi posti o curiosità locali: sono andata solo con l’idea di passare un po’ di tempo con la mia famiglia ma ho fatto un’esperienza incredibile e inaspettata, quella che ogni turista sogna. Ho vissuto con le persone
del luogo, in una casa tra le tante e lavorando come loro per tutto il tempo. Niente era programmato. Eppure ho apprezzato molto di più cose che per loro erano la quotidianità ma che la maggior parte dei miei coetanei di Busto Arsizio non può nemmeno immaginare. Per questo sono stata felice di raccontarvi la mia esperienza.

cod. concorrente 1503190517


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