Transition si può (9541)

Articolo di Filomena Picchi, 23 anni, di Civitanova Marche

Orti urbani, permacoltura, mercatini del baratto: si può cercare l’essenziale anche in città. Per esempio facendo un corso di transition training (ne nascono ovunque, basta una ricerca su google per trovarne). Cos’è una città di transizione (transition town, appunto)? L’idea è nata in Irlanda e in Inghilterra non più di 7 anni fa, ed è già nota in tutto il mondo. L’obiettivo è quello di preparare le comunità ad affrontare la doppia sfida del riscaldamento globale e del picco del petrolio. Rob Hopkins, esperto di permacoltura, ha dato il via al movimento partendo da uno studio fatto di approcci multidisciplinari e creativi riguardo alla produzione di energia, salute, educazione, economia e agricoltura, verso un futuro sostenibile delle città. In siti d’informazione come ilcambiamento.it si legge che molte città italiane stanno ospitando gruppi di transizione. Granarolo, seconda realtà italiana ad aderire al movimento dopo Monteveglio, ha iniziato nel 2008 a tessere la rete delle collaborazioni. “Alcune proposte – spiega Marco, uno dei fondatori – erano già presenti a Granarolo quando abbiamo cominciato ad osservare la situazione. Tra tutte, la Banca del Tempo, a cui abbiamo semplicemente aderito, cercando di proporre eventi e sinergie per amplificarne la rilevanza. Fare rete con l’esistente è fondamentale, non serve creare alternative dove ci sono già, piuttosto serve individuarle, valorizzarle, lavorare insieme a loro”. Collaborazione, dunque, è la parola d’ordine. Poi, viene la creazione di una struttura di approvigionamento alimentare, ossia la fondazione di GAS. Si passa quindi alla questione energetica, puntando ovviamente sulle rinnovabili e spingendo il comune ad adottare sistemi di risparmio energetico. Il gruppo di Granarolo è formato da 10 persone che si incontrano due volte al mese. Poche, quindi è più semplice la formula collaborativa democratica. Ma è possibile un ragionamento su larga scala? “Il movimento di Transizione prende in considerazione una panoramica completa e realistica della situazione: i nostri edifici assetati di energia, le nostre città completamente asfaltate, la demografia urbana, il sistema alimentare globalizzato, la nostra economia allo sfascio. Combina la realtà com’è ora, con il sogno di ciò che potrebbe essere domani. Chiama in azione la creatività collettiva delle persone del luogo. E poi elabora un piano”, spiega Joanne Poyourow nella Transition Voice Magazine. “L’approccio di Transizione sta muovendo i primi passi, e non è perfetto, e non sappiamo di certo se funzionerà. Ma è la cosa migliore che abbiamo”. Anche ai Castelli Roma è nato un gruppo, Cantiere Ecologia, che organizza riunioni, corsi, laboratori per la “transizione” “E’ ora di iniziare a costruire una civiltà e una cultura più vicina ai concetti di sostenibilità ambientale e sociale. Una cultura che parta dal locale, attenta alle risorse locali e globali, una cultura e una politica trasparente e pulita dove il bene collettivo è un valore da difendere e raggiungere, una cultura pratica che con le tecnologie appropriate promuove una economia nuova e sociale.”, spiega Roberto Salutri, uno dei fondatori del gruppo. Il nodo italiano della rete internazionale di Transizione organizza corsi di formazione in varie parti d’Italia. Corsi di progettazione in permacoltura, seminari di rieducazione interiore (il lavoro che riconnette), orti-giardini naturali, transition traning ecc. Le informazioni si trovano su transitionitalia.wordpress.com

 

cod. concorrente 1403225103

 


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