Quanto costa all’ambiente ciò che produciamo? Da oggi il modo per saperlo c’è(12117)

sabato, aprile 5th, 2014 (12117)

WORKSHOP – Si fa presto a dire green

di Luca Crosti, 23 anni, Roma

Al giorno d’oggi viviamo circondati da un numero infinitamente grande di oggetti, più o meno utili alla nostra vita. Ci siamo mai chiesti, però, qual è il loro impatto sull’ambiente? Se questo si possa misurare e cosa comporti produrli? Ebbene, la risposta è sì, un metodo c’è e può essere utilizzato da tutti quegli enti o imprese che vogliono dedicarsi allo sviluppo sostenibile.

Proprio di questo abbiamo parlato con Fabio Iraldo, professore associato di Management ambientaleall’Istituto di Management della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e direttore della Ricerca IEFE (Centro di ricerca Politiche economiche energetiche e ambientali presso l’Università Bocconi),durante il workshop “Come si misura la greenicità?”, tenutosi il 20 marzo scorso presso l’Università degli Studi di Roma Tor Vergata.

Ma come è strutturato questo metodo? Il nome stesso può già dire qualcosa. «Viene definito dell’analisi del ciclo di vita dei prodotti o dei servizi poiché l’impatto ambientale viene valutato dall’estrazione delle materie prime dalla terra fino alla restituzione del prodotto inutile all’ecosistema.  –spiega il Prof. Iraldo – Ogni singola fase viene analizzata». (altro…)


Norme sulla qualità ambientale dei prodotto e sull’efficienza ambientale delle imprese: in Italia a che punto siamo?(12114)

sabato, aprile 5th, 2014 (12114)

WORKSHOP – Si fa presto a dire green

di Anna Carosi, 19 anni, Roma

La sensibilità ambientale è una conquista recente: fino al secolo scorso si è pensato in termini di crescita e produzione, e solo recentemente si è fatta strada la consapevolezza dell’impatto ambientale dei prodotti e delle azioni necessarie per produrli.

Fra le prime tappe “ufficiali” di questa consapevolezza Tullio Berlenghi – giurista ambientale, relatore al workshop di Giornalisti Nell’erba sul tema “Come si misura la greenicità” – indica la data del 1972, quando il Club di Roma, un’associazione non governativa di scienziati, commissionò al Massachusetts Institute of Technology di Boston il rapporto (ormai famoso)  I limiti dello sviluppo, “per valutare le conseguenze della crescita di alcune variabili fondamentali: popolazione mondiale, industrializzazione, inquinamento, produzione alimentare e consumo di risorse”. (altro…)


La certificazione energetica degli edifici, cosa misura?(12112)

sabato, aprile 5th, 2014 (12112)

WORKSHOP – Si fa presto a dire green

di Andrea Giannetti, 21 anni, Roma

Risparmio energetico ed energia pulita sono valori chiave per una formula vincente contro l’inquinamento ambientale. Da dove cominciare? Non possiamo pensare la quotidianità senza tener conto dell’edificio in cui viviamo. E’ proprio a questo proposito che vogliamo analizzare cos’è e come funziona la “Certificazione energetica degli edifici”.

L’ Attestato di certificazione energetica (ACE), tramite un meccanismo analogo a quello utilizzato per la classificazione degli elettrodomestici o dei veicoli, permette di stimare il livello dei consumi energetici primari di un immobile e di conseguenza ci offre un quadro indicativo dei loro costi.
Il certificato viene rilasciato da un professionista abilitato, che sulla base di dati tecnici e calcoli mirati, definisce la classe energetica di appartenenza dell’edificio (A +, A, B, C, D, E, F e G)che ne evidenzia le prestazioni e le caratteristiche.

Gli scopi della Certificazione Energetica possono essere molteplici. Primo tra questi la sensibilizzazione sulle problematiche energetiche ed ambientali mirata tanto ai professionisti quanto ai cittadini. Inoltre il certificato energetico di un edificio si propone come guida per orientare proprietari di immobili, costruttori o semplici inquilini a prediligere gli edifici con elevati standard energetici, grazie anche alla ormai nota convenienza in termini economici di un’abitazione “green”.

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Sai la misura della greenicità di un cheeseburger?(12110)

sabato, aprile 5th, 2014 (12110)

WORKSHOP – Si fa presto a dire green

di Alba Pietrantuono, 22 anni, Roma

Quanto contribuiscono al riscaldamento globale le cose che facciamo ogni giorno? Come capire quando un prodotto è davvero ecosostenibile? Scopriamolo insieme.

Preferite mangiare un cheeseburger sotto casa invece che prendere un treno e andare a casa di vostra nonna a pranzo? Scelta sbagliata. Non solo perché non passerete del tempo con vostra nonna e non mangerete cose genuine, ma avrete anche inquinato l’ambiente. Proprio così, un cheeseburger equivale a 30 km in treno. Pensate di scrivere una mail invece di recavi a casa di qualcuno?

Rifletteteci bene, un anno di mail inquina come 300 km in auto; inoltre, ogni volta che accendete un computer state emettendo la stessa impronta di carbonio di un volo di andata e ritorno da Glasgow a Madrid. Per permettere all’intero sistema produttivo italiano di migliorarsi c’è bisogno che tutto il Paese sostenga l’innovazione ambientale. Ma soprattutto è importante capire quanto ognuno, nelle scelte e nei piccoli gesti quotidiani, è fondamentale in questo cambiamento. (altro…)


Anche il Ministero dell’Ambiente vuole misurare la greenicità(12103)

sabato, aprile 5th, 2014 (12103)

WORKSHOP – Si fa presto a dire green

di Adalberto Cossetti, 25 anni, Roma

Anche il Ministero dell’Ambiente vuole misurare la greenicità delle aziende. Quand’era ministro Corrado Clini, infatti, il dicastero ha dato il via al Programma nazionale per la valutazione dell’impronta ambientale. Gli aderenti, si legge sul sito, sono ad oggi circa 200 tra aziende, comuni e università.  Tutti volontari, selezionati dal ministero stesso o autoproposti. Lo scopo è quello di trovare un modo per misurare l’impronta ambientale (carbon footprint e water footprint) dei prodotti/servizi e quindi  “di sperimentare su vasta scala e ottimizzare le differenti metodologie di misurazione delle prestazioni ambientali, tenendo conto delle caratteristiche dei diversi settori economici, al fine di poterle armonizzare e renderle replicabili”.

Non se ne leggono tutti i nomi, per un problema del software del sito stesso, ma solo una ventina. L’elenco inizia con Benetton, che ha firmato un accordo per “l’analisi e alla contabilizzazione delle emissioni di CO2 (carbon footprint) legate alle attività produttive dello stabilimento Benetton in Tunisia.  In particolare si valuterà l’impronta ambientale relativa a due prodotti della linea “bimbo” (t-shirt e polo). Nell’ambito dell’accordo si valuteranno tutte le possibili misure di riduzione e di neutralizzazione dell’impronta ambientale che prevedono l’utilizzo di tecnologie e delle best practice a basso contenuto di carbonio, al fine di ottenere prodotti carbon neutral (ad emissioni compensate)”. (altro…)


I problemi dell’acqua: il consumo “invisibile” dietro i prodotti(12095)

sabato, aprile 5th, 2014 (12095)

 

WORKSHOP – Si presto a dire green

di Matteo Isidori, 23 anni, Roma

Gli studi di WWF e Legambiente sulla misurazione della waterprint italiana e sulla qualità

L’acqua costituisce il 65% della massa del corpo umano e copre il 71% del pianeta Terra. Dovrebbe essere la risorsa “comune” (nel senso di condivisa) più preziosa eppure per molte persone è un bene quasi inaccessibile. Circa 1,4 miliardi di persone nel mondo non hanno accesso regolare all’acqua potabile. Altre 2,6 miliardi di persone non usufruiscono dei servizi igienico-sanitari.
Il 22 marzo è stata la “Giornata mondiale dell’acqua”, istituita per sensibilizzare Paesi e singoli cittadini sull’importanza che ha l’acqua e sulla responsabilità che ciascuno di noi ha verso di essa.
Per l’occasione WWF e Legambiente hanno pubblicato due rapporti sul consumo e sulla qualità dell’acqua in Italia. Quello del WWF è incentrato sull’impronta idrica della produzione e del consumo dei prodotti. Da questo rapporto si scopre che l’Italia importa 62 miliardi di metri cubi all’anno di acqua “invisibile” contenuta nei cibi dall’estero. Nella produzione l’Italia utilizza 70 miliardi di metri cubi, di cui l’85% nell’agricoltura, allevamento e pascolo, mentre il restante 15% dell’impronta idrica è composto da produzione industriale (8%) e uso domestico (7%). Il singolo cittadino consuma l’89% dell’impronta idrica giornaliera in cibo, il 7% in prodotti industriali, e solamente il 4% per uso domestico. Si tratta di acqua che non vediamo, non misuriamo, alla quale non si pensa nella quotidianità, ma grava pesantemente sulla gestione delle risorse idriche. Il primo cambiamento che si può applicare alla propria vita, quindi, è una scelta più attenta ai prodotti che compriamo. Si tratta di non guardare con miopia al prodotto, ma interrogarsi su tutto il ciclo di produzione del bene che stiamo acquistando.  (altro…)

Architettura green e made in Italy(11920)

venerdì, aprile 4th, 2014 (11920)

WORKSHOP – Si fa presto a dire green
Raffaella Spizzichino, 25 anni, neolaureata in architettra a Roma, Valle Giulia

L’Italia per quanto riguarda l’architettura sostenibile non si tira indietro. Che siano case davvero piccole, immaginate come una tana da portare con sé, o grandi interventi che ospitano 65 imprese hi-tech, la parola d’ordine è greenicità. Renzo Piano, a Weil amRhein in Germania, si è voluto cimentare nella progettazione della casa minima, che nel 2013 è stata inaugurata con il nome Diogene. In soli 2,5 per 3 metri – ci spiegano dal suo studio RPBW di Genova-contiene tutto il necessario per essere utilizzata come riparo, adattabile alle esigenze e facilmente trasportabile. Si compone di tre ambienti: una stanza trasformabile per uso diurno e notturno, una piccola cucina ed un bagno. Quest’unità abitativa è energeticamente autosufficiente; pannelli solari e fotovoltaici la dotano di acqua calda ed elettricità, serbatoi raccolgono l’acqua piovana che viene filtrata e pompata all’interno per essere utilizzata in cucina e per la doccia, uno speciale tipo di sistema compost fa sì che la toilette non abbia bisogno di acqua. Mario Cucinella, invece, nel 2010 ha concluso il progetto del Polo Tecnologico di Navacchio a Pisa. Cinquemila metri quadri tra uffici e laboratori che consumano solamente 16 kg di anidride carbonica al metro quadro l’anno, circa il 55% in meno di un edificio tradizionale. Interpellato lo studio MCA di Bologna di Cucinella, scopriamo che la piazza tra i tre edifici, paralleli e poco ruotati rispetto all’asse est-ovest, è riparata da una copertura schermante, che alterna pannelli tondi fotovoltaici e frangisole che favoriscono la ventilazione naturale della corte interna, le acque piovane sono raccolte e riutilizzate. Gli spazi di lavoro sono organizzati con una struttura semplice e modulare, blocchi da 100 metri quadri aggregabili senza limite, orientati in maniera razionale per ottimizzare gli apporti termici estivi ed invernali. Tutto ciò fa sì che l’edificio sia collocato nella classe A, in quanto i fabbisogni energetici sono davvero sorprendenti per un intervento di queste dimensioni.
cod. conc. 1604101732


Equipaggio gNe nelle acque del green(12574)

lunedì, marzo 17th, 2014 (12574)

Articolo di Martina Cavallaro, 21 anni, di Tradate

 

Chi siamo, come abbiamo cominciato, dove siamo arrivati. Il viaggio della ciurma dei giornalisti nell’erba è cominciato otto anni fa con bambini, ragazzi e adulti provenienti da tutta Italia uniti da un unico obiettivo: quello di diffondere le tematiche ambientali e promuovere mentalità e comportamenti sostenibili.

In un equipaggio green, come in quello di una barca, di un’astronave, o anche di un’ambulanza, ci si divide i compiti a seconda delle proprie propensioni e capacità ma ogni membro ha la sua importanza: c’è chi scrive (tanti in realtà), chi disegna, chi crea racconti, chi registra spot e filmati, e chi dirige il team dall’alto della sua esperienza. Come una vera ciurma, ci si aiuta a vicenda e si insegna il mestiere ai “mozzi”, come fanno i sempre più numerosi tutor e giudici di gNe che perdono i loro sabati sera a leggere gli elaborati dei partecipanti e a rispondere alle loro mail. La nostra barca è stata spinta avanti con parole (quelle scritte negli articoli, ma anche quelle pronunciate nelle interviste e nelle domande che continuiamo a fare e a farci nel corso di tutto l’anno), ma anche con gesti: come i tentativi di Claudia di ridare vita al polmone verde abbandonato del suo quartiere; o quelli dei tanti bambini delle scuole di Roma che seminando piantine insegnano anche agli adulti la bellezza di veder crescere un fiore grazie al lavoro delle proprie mani.

E’ da otto anni che solchiamo le acque del green; ma cosa è cambiato in questo periodo?

Da quando abbiamo cominciato, i passi avanti verso uno stile di vita più consapevole e sostenibile sono stati tanti. Innanzi tutto i consumatori hanno spinto anche le grandi aziende e le multinazionali a fare dell’attenzione all’ambiente non una seccatura ma un vanto: sono stati loro che hanno chiesto – e ottenuto – tramite le loro scelte fatte con il carrello della spesa, che i prodotti che arrivano sulle nostre tavole siano non solo controllati dal punto di vista igienico e con pochi zuccheri per stare attenti alla linea; ma che rispettino le popolazioni che li producono e abbiano un impatto minimo sugli equilibri e sugli ecosistemi dei territori da cui provengono. Si sono poi moltiplicate le campagne sul risparmio energetico e gli incentivi alle energie e alla mobilità sostenibili, frutto dei quali sono i sempre più diffusi pannelli solari sui tetti delle case o l’utilizzo del bike o car-sharing; ma anche la tecnologia è andata avanti sposando pienamente i valori del rispetto ambientale (le macchine ibride o a consumo ridotto, le lampadine al led, i vasi in lolla di riso che decomponendosi non creano rifiuti, persino i pannelli solari ai frutti di bosco).

Contemporaneamente si è cominciato a chiedere nuove certificazioni che attestassero l’eco-compatibilità della filiera produttiva. Si è partiti dal semplice marchio CE per poi arrivare all’LCA, al PLM, EMAS, GPP, ECOLABEL, e al Bilancio Ecologico Certificato che il Ministero dell’Ambiente sta mettendo a punto in questi mesi; ma ormai anche i fazzoletti con cui ci soffiamo il naso e la carta dei nostri diari di scuola porta in bella vista il marchio FSC.

Nel frattempo è arrivata la decisione di portare in Italia Expo 2015 che, raccogliendo le istanze provenienti da tutto il mondo, ha deciso di puntare sul tema “nutrire la terra, energie per la vita”. Tutti i paesi che parteciperanno all’esposizione universale del prossimo maggio si stanno già da tempo mobilitando per creare progetti che abbiano come parole chiave sostenibilità, riuso, sfruttamento equo delle risorse. Ovunque si è pensato in maniera nuova all’agricoltura, imparando a guardarla con rinnovato rispetto; e si sono scoperte le grandi opportunità aperte dal turismo legato alla terra. Anche in questo caso un’importanza sempre maggiore è stata rivestita dagli studenti delle scuole, come i ragazzi della scuola media Paolo VI di Tradate (VA) che per partecipare a un bando della Regione Lombardia hanno coltivato nella serra del loro istituto, in maniera del tutto biologica, gli ingredienti necessari a produrre quattro piatti tipici della loro regione (con attenzione alla stagionalità delle colture) che presenteranno poi al mondo tramite delle video-ricette raccontate da loro stessi nelle quattro lingue che studiano a scuola.

In tutto questo tempo i giornalisti nell’erba sono stati osservatori attivi e talvolta anche complici di questi cambiamenti: a poco a poco gNe e il giornalismo ambientale sono entrati non solo nelle scuole, ma anche all’interno dell’università attraverso workshop, laboratori e conferenze. La sensibilità dei più piccoli ha contribuito a prendere importanti decisioni, come quella che ha impedito che venisse costruita una discarica nel sito archeologico della Domus Adriana di Tivoli; ma ha fatto in modo che anche i giornalisti più esperti si mettessero in discussione e imparassero a dare sempre più spazio all’ambiente, non soltanto in occasione di grandi calamità naturali.

All’inizio del nostro viaggio parole che iniziassero per eco, green e bio erano viste come qualcosa di bizzarro e un po’ naif, una moda passeggera e inconsistente che mai avrebbe potuto resistere all’avanzare dei tempi e alle necessità sempre più energivore e consumistiche della società del nuovo millennio: adesso invece lo stesso mare in cui navighiamo sta cambiando, perché cambia il modo di pensare delle persone. Progresso ed ecologia non sono più visti come due cose in contrasto.

Intanto il nostro equipaggio si accresce, giorno dopo giorno, edizione dopo edizione, sapendo che non siamo soli in questo viaggio: assieme a noi ci sono sempre più giornalisti, cittadini e lettori accorti che continuano a informarsi, consapevoli delle ripercussioni che i nostri comportamenti possono avere sull’intero pianeta. La cosa sempre più certa è che la comunicazione, soprattutto quella giornalistica, avranno un ruolo sempre più importante nel far conoscere le novità e a stimolare il dialogo sulle tematiche verdi, nel riportare le grandi innovazioni nell’ambito delle tecnologie sostenibili, e anche nel smentire le bufale ambientali e i tentativi di greenwashing di aziende non così virtuose come vogliono far credere.


I musei naturalistici, il segreto di un presente e un futuro sostenibile(11505)

venerdì, marzo 14th, 2014 (11505)

Intervista con Elisabetta Falchetti  di Azzurra Giordani, 26 anni, di Frascati (Roma)

Degrado ambientale, perdita di biodiversità, cambiamento climatico, desertificazione, scarsità d’acqua e di altre risorse vitali… Il secolo attuale si è aperto all’insegna di una serie di emergenze planetarie. Eppure, gli stili di vita e i modelli di sviluppo delle società moderne rimangono ecologicamente “insostenibili”. Urgono misure urgenti tese a salvare il Pianeta dal pericolo di un imminente collasso. A offrire un’adeguata risposta alla crisi ambientale sono i nostri musei naturalistici. Come contribuiscono alla costruzione di un mondo sostenibile? Lo abbiamo chiesto alla Dottoressa Elisabetta Falchetti, zoologa presso il Museo Civico di Zoologia di Roma. 

(…) “I musei naturalistici svolgono un ruolo chiave nella ricerca per la conservazione della biodiversità e nello studio dei problemi ambientali, come la frammentazione degli habitat, spesso all’origine dei fenomeni di rarefazione o estinzione delle specie in natura. Inoltre, i musei naturalistici contribuiscono attivamente ed efficacemente alla costruzione di una nuova filosofia per un vivere sostenibile….” (…)  e le ricerche (studi su campo, sui reperti, ricerche biogeografiche ed ecologiche, analisi della concentrazione di contaminanti, analisi genetiche ecc) sono di grande supporto alla” ricerca e agli interventi di tutela e gestione ambientale”…

QUI per l’intervista in word, QUI in pdf.

 

Cod. conc. 0603115019