Falsi miti su chimica e bioplastiche, intervista a Daniela Riganelli di Novamont (12045)

WORKSHOP – Si presto a dire green

della II C Scuola Media I.C. Frascati via D’Azeglio

 

Perché secondo lei la parola “chimica” sembra che abbia il significato di qualcosa che fa male? 
La consuetudine a vedere la “chimica” come qualcosa di cattivo l’abbiamo imparata a nostre spese dai disastri ambientali, dalle malattie che ne sono derivate e magari anche da un certo tipo di insegnamento che ha fatto vedere questa materia come una delle più difficili e talvolta inutili che abbiamo affrontato nel corso degli studi.

Da cosa possiamo capire se una pubblicità di qualche prodotto ci sta ingannando?
Il problema non è tanto la chimica (termine che viene assolutamente evitato nelle comunicazioni pubblicitarie), quanto l’allusione che in quel determinato prodotto la chimica sia completamente assente. Il consumatore viene quindi accattivato da termini come “naturale” che non vuol dire nulla perché molte cose possono anche essere naturali ma dannose (pensiamo ad un pesce naturale che è andato a male, ha prodotto tossine naturali che possono anche uccidere) o magari scrivono “in assenza di conservanti” quando in alcuni casi non ci sono mai stati in quel prodotto… Il problema pero’ che ritengo più rilevante nella disinformazione sulla chimica è l’uso che ne viene fatto quando in alcuni articoli divulgativi quando si vuole mettere in cattiva luce un determinato prodotto o uno stile di vita. Ho letto ad esempio un articolo allarmistico sulla raffinazione della farina dal quale il lettore trae certamente l’impressione di dover morire da un momento all’altro per il solo fatto di mangiare una rosetta…. e guarda caso tutti i problemi sono dovuti a “prodotti chimici” che “sbiancano e intossicano la nostra farina”. Personalmente ho risposto pubblicamente spiegando che ossido di cloro e di azoto non corrispondono a nessuna sostanza chimica perché ne esistono di molti tipi. In particolare gli ossidi di azoto sono gassosi e sono alcuni tra gli inquinanti più pericolosi presenti nell’aria, non ho idea di cosa possono usare nelle farine…Per il cloro potrebbe eventualmente trattarsi di ipoclorito che è pure la varichina e la muchina (in varie %). Dire ossidi chimici non vuol dire niente perché tutta la crosta terrestre e’ un ossido di qualche elemento”. Questo per dire che a mio parere basterebbe sapere che la farina 0 o 00 e’ un fattore predisponente il diabete e (forse) la celiachia per farci stare attenti ad usarne quantità limitate, e invece continuiamo ad anteporre lo spauracchio della chimica come se noi esseri viventi fossimo fatti di etere. Tutto è chimica.

Come si fa a riconoscere se dicono delle cose vere o false?

Io ho delle semplici regole:

• Quando mettono tante, direi troppe informazioni allora molte sono false o esagerate (dubitate sempre quando si parla di 10 regole per capire questo o quello).

• Quando non c’e’ nessun riferimento certo e serio (Istituti nazionali di ricerca, università, altra letteratura)

• Quando scrivono “composto chimico di sintesi” senza specificare . Questa affermazione davvero non vuol dire nulla perchè se un composto è tossico lo sarà sia di sintesi che naturale, viceversa se una molecola è innocua lo è sia se estratta dalle piante che sintetizzata per via chimica. Fate una prova: andate a vedere in rete cos’è il Dihydrogen Monoxide – DHMO. Sembra una formula chimica terribile…vedrete come è possibile manipolare l’informazione.

Quante tartarughe (circa) hanno subito danni a causa delle buste plastiche?

Non si sa il numero esatto. Per rispondere mi baso su un documento UNEP, in cui si dice che su 7 tartarughe analizzate, 6 hanno mostrato di aver ingerito plastica. Il problema non sono solo le buste di plastica che soffocano pesci e tartarughe ma anche che si frantumano in piccolissime particelle simili al plancton (microinquinamento). I pesci o le balene li mangiano e si sentono sazi, ma invece…

Quali zone sono più inquinate a causa di queste buste plastiche?

Secondo il rapporto che ha fatto l’UNEP si evince sfortunatamente che non ci sono zone particolarmente inquinate e zone pulite. Il micro e nano inquinamento si estende in tutte le parti del globo, dal mare del nord fino al mar artico. Anche nel Tirreno infatti, in particolar modo al sud, si sono trovati oltre 13 oggetti per Km2 di cui il 95% è plastica.

Quanto ci mettono le buste plastiche a dissolversi nell’ambiente?

E’ un dato che non abbiamo (almeno non io) perchè dipende molto dalle condizioni atmosferiche, dalla temperatura ed altre cose. Comunque parliamo di decine di anni anche 100 o 1000 (ma nessuno hai mai vissuto tanto a lungo) in funzione del tipo di plastica e dagli spessori. Una cosa pero’ è certa: i legami chimici con cui sono fatte le plastiche non sono “noti” ai microgranismi che non sono quindi in grado di “digerirli”. Come se noi mangiassimo solo cellulosa (carta) o plastica; il nostro organismo non è in grado di spezzare molecole cosi’ complesse e quindi passano intatte nel sistema digerente.

Utilizzando il mais per produrre buste biodegradabili, non si rischia che scarseggi per l’alimentazione dei popoli?

L’amido (che per altro è solo una parte della bioplastica) è usato per le bioplastiche e per altri scopi industriali da sempre ma non solo, in genere viene coltivato non tanto per alimentazione umana quanto per alimentazione animale. Per produrre una tonnellata di carne di manzo servono 4 ettari di coltivazioni a foraggio mentre per produrre una tonnellata di bioplastica (quante buste si producono se ognuna è 24 grammi?) servono 0,03 ettari (vedi pag 79-80 Rapporto Sostenibilità Ambientale Novamont).

Visto che gli alimenti bio costano di più, anche le buste biodegradabili hanno un costo maggiore?

Il metodo di produzione del Biologico non è correlato con le bioplastiche biodegradabili anche se tutte queste parole hanno il prefisso BIO. Biologico è un metodo per produrre cibo (coltivazioni, allevamenti , trasformazioni) che non fa uso di prodotti chimici (diserbanti, insetticidi, fertilizzanti) che siano anche inquinanti della natura. L’idea del biologico è semplicemente aiutare la natura a produrre senza forzature chimiche. In genere i prodotti costano di più perchè le rese sono più basse. Per le bioplastiche invece il costo maggiore è dovuto al fatto che le materie prime devono essere prima prodotte (e non è detto che siano esse coltivate secondo i principi del biologico, anche se sarebbe preferibile) e poi trasformate con metodi che si stanno mettendo a punto ora. Il petrolio invece è ancora troppo a buon mercato (non deve essere prodotto ma solo estratto) e le produzioni sono ormai standardizzate da decine di anni. Tra qualche anno quando il petrolio finirà (dicono circa 40 anni), questo diventerà così costoso che sarà più conveniente usare le biomasse.

Per creare le buste biodegradabili si impiega tempo maggiore dalle solite buste?

Per produrre le buste è necessario una macchina (chiamata filmatrice) che fonde i granuli di plastica (o bioplastica) e ne fa una pellicola come nella foto. Le macchine che filmano il Polietilene (la plastica delle buste) sono praticamente uguali a quelle che filmano il Mater-Bi . Quindi direi che nel processo di filmatura non ci sono differenze. Per la produzione del granulo invece valgono i discorsi fatti sopra. La bioplastica è una nuova tecnologia e le produzioni non sono cosi’ ottimizzate come il vecchio polietilene.


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