La difesa dell’ambiente e l’esempio del trentino (7259)

Intervista di Massimo Furlani, 13 anni, di Trento (III media Pascoli)

Il prof. Claudio Bassetti, vicepresidente della S.A.T., ci parla delle problematiche legate al cambiamento delle condizioni climatiche e alla tutela dell’ambiente, in particolare nella nostra regione, il Trentino.

Mi può dire di cosa si occupa e quali sono i suoi compiti nell’ambito della tutela dell’ambiente?

Per anni sono stato presidente di una associazione ambientalista piccola, ma molto attiva, della Valle dei laghi: la EOS. Dal 1990 mi occupo all’interno della SAT (Società Alpinistica Tridentina), di cui sono attualmente vicepresidente, delle questioni legate alla tutela della montagna.

Occuparsi di tutela della montagna significa avere una conoscenza approfondita del territorio alpino; non solo degli aspetti naturali, come la conformazione geologica, la vegetazione, la fauna ma anche dei paesaggi costruiti dall’uomo in mille anni di intenso lavoro: alpeggi, sentieri, mulattiere, miniere, baite, paesi, rifugi, bacini idroelettrici.

Le Alpi sono il risultato della combinazione di eventi naturali e del lavoro dell’uomo. Tutelare le Alpi significa comprendere l’importanza di questa relazione per conservare la biodiversità, la qualità delle acque e la funzionalità dei boschi e per garantire la stabilità dei versanti e dare opportunità di lavoro e spazi vitali.

Ho acquisito questa comprensione anche grazie a persone molto competenti ed appassionate: persone che collaborano ad individuare i rischi che la montagna corre quando è sottoposta ad eccessivo sfruttamento, come nel caso delle stazioni sciistiche, del traffico crescente sulle strade delle Dolomiti, della canalizzazione dei fiumi e dei torrenti per le centraline idroelettriche.

La montagna può correre anche il rischio opposto, quello dell’abbandono, con la perdita di paesaggi costruiti in secoli di fatica e dove la natura si riprende lo spazio primitivo. Occorre riflettere sul fatto che la biodiversità è favorita in certa misura anche dal lavoro dell’uomo. I prati di montagna e i muretti a secco sono esempi di ambienti creati dall’uomo e ricchi di specie.

Le analisi che noi operiamo vengono poi trasmesse agli enti che devono prendere decisioni per far sentire la voce di chi vuole tutelare la montagna. Vengono anche comunicate ai giornali per creare un’opinione favorevole alla difesa dell’ambiente. Inoltre si organizzano corsi di formazione per grandi e piccoli amanti della montagna.

 

Tra i tanti, qual è il principale fattore che danneggia l’ambiente?

 L’ambiente che ci circonda è una realtà piuttosto complessa. Occorre tener conto della componente vivente e di quella non vivente, ma soprattutto delle relazioni che legano i viventi fra loro.

Noi immettiamo quotidianamente sostanze prodotte in modo artificiale attraverso i cicli di produzione, consumo e smaltimento. A volte riconosciamo le sostanze che producono danni agli ecosistemi e a noi stessi; a volte, però, questi effetti ci sono sconosciuti e li scopriamo dopo, quando la natura “ci presenta il conto”.

 

L’effetto serra rappresenta un grande problema per il nostro pianeta: quali sono le principali cause di questo fenomeno e come vi si può rimediare?

Devo fare una precisazione: l’effetto serra è un fenomeno atmosferico importante, che rende possibile la vita sul pianeta.

Senza l’effetto serra la temperatura media della terra sarebbe di 18º sottozero, mentre con l’effetto serra la temperatura media del pianeta è di 14º, ben al di sopra del punto di congelamento dell’acqua. Così il pianeta gode di una situazione ottimale per lo sviluppo delle forme viventi.

Ciò che ci preoccupa è l’aumentata concentrazione in atmosfera dei gas che favoriscono l’effetto serra: l’anidride carbonica (CO2), il metano (CH4), il protossido di azoto o ossido di azoto (N2O) e l’ozono (O3). Assistiamo infatti ad un riscaldamento globale delle Terra che determina i cambiamenti climatici di cui tutti parlano. Quindi possiamo dire che il vero problema non è l’effetto serra, ma il riscaldamento del pianeta.

E’ ben vero che nel corso della storia si sono alternati momenti di raffreddamento e riscaldamento del pianeta, ma è la velocità con la quale avviene il fenomeno attuale il dato più allarmante, assieme all’aumento mai registrato prima dei gas serra.

L’aumento dell’anidride carbonica è iniziato con la rivoluzione industriale ed è la conseguenza della combustione delle energie fossili, soprattutto petrolio e carbone, e della deforestazione. Nei combustibili fossili è concentrata una grande quantità di CO2 , catturata dai vegetali attraverso la fotosintesi ed immagazzinata in milioni di anni nel sottosuolo. Perciò, quando bruciamo carbone e petrolio liberiamo l’anidride prodotta in tempi molto remoti.

Quando invece bruciamo foreste per creare pascoli e terre coltivabili fermiamo l’attività di fotosintesi delle pante, che non immagazzinano più l’anidride carbonica; nello stesso tempo liberiamo quella contenuta nel legno, come ho spiegato prima.

Poi c’è l’aumento del metano, che deriva da un’esplosione dell’allevamento di  bestiame e dalle colture a sommersione.

Infine il riscaldamento del pianeta provoca lo scioglimento dei ghiacciai (quelli alpini, ad esempio, sono destinati a sparire entro la fine del secolo), l’aumento dell’evaporazione, precipitazioni più intense e concentrate e la modificazione di forme viventi che popolano un determinato ambiente (ci sono animali e piante tropicali cominciano a spostarsi verso l’Europa).

I rimedi da adottare sono complessi, perché l’atmosfera non è come il territorio su cui uno abita; l’aria si muove e i gas prodotti in Italia si spostano in Brasile, quelli cinesi in America del Nord e così via. Il problema riguarda tutti e la soluzione va trovata assieme. Occorre diminuire drasticamente l’emissione di gas serra attraverso miglioramenti tecnologici e minori produzioni inquinanti.

C’è chi dice che le responsabilità non sono uguali per tutti: un indiano produce gas serra in misura minore rispetto ad uno statunitense, quindi l’India, che è un paese in via di sviluppo, chiede di avere meno tagli alle sue emissioni di gas serra. Però in India vivono più di un miliardo di persone, come in Cina, per cui la quantità totale di emissioni del Paese corrisponde grossomodo a quella di un Paese sviluppato.

La questione è complessa e gli stati del mondo si ritrovano spesso a dibattere questi temi e a cercare vie d’uscita.

L’Europa è molto più attiva degli altri continenti perché è maggiormente consapevole dei rischi che si stanno correndo ed è all’avanguardia nella ricerca di soluzioni alternative al consumo di combustibili fossili.

Nel frattempo, ognuno di noi deve fare la sua parte: meno auto e più mezzi pubblici o bici, quando si può, riscaldamento più basso e va di seguito. Molte buone pratiche possono dare grandi frutti.

 

Ci sono, o ci sono stati interventi che hanno contribuito a migliorare le condizioni climatiche e ambientali, anche in seguito alle catastrofi che si sono verificate, per esempio in Giappone?

Purtroppo la pressione alla quale sottoponiamo il mondo diventa evidente a tutti solo quando ci sono le emergenze ambientali: il petrolio che fuoriesce nel golfo del Messico e rovina per secoli la fauna, la distruzione della vegetazione e del paesaggio costiero degli Stati Uniti, le alluvioni in Thailandia e nella stessa Italia, la fuoruscita di sostanze radioattive dalla centrale di Fukushima dopo lo tsunami in Giappone,  la deforestazione che procede a ritmi forsennati, il buco nell’ozono e gli stessi cambiamenti climatici di cui si parla solo quando fa molto caldo o non nevica a sufficienza.

I governi sanno ormai che la questione ambientale è decisiva per il futuro dei cittadini. Il costo degli interventi per rimediare ai problemi ambientali è altissimo e conviene affrontarli per tempo, proponendo soluzioni anche grazie alla collaborazione di numerose organizzazioni nate per la tutela dell’ambiente e che sono in continuo aumento.

Esiste la speranza di un futuro migliore, sia ambientale che sociale.

Alcuni miglioramenti si sono ottenuti, come negli anni ’80 del secolo scorso, quando un problema molto sentito era quello delle piogge acide, che stavano danneggiando le foreste dell’Europa del Centro Nord. La presa di coscienza del problema ha fatto sì che oggi il rischio derivante da queste emissioni inquinanti si sia ridimensionato.

 

Il Trentino è all’avanguardia nel rispetto dell’ambiente rispetto alle altre regioni italiane? Perché?

Il Trentino tutela una parte importante del suo territorio. C’è una porzione di Parco Nazionale dello Stelvio, due parchi naturali (Adamello, Brenta e Paneveggio, Pale di San Martino), una serie di riserve naturali e locali, parchi fluviali, reti di riserve e 129 zone speciali di conservazione. Un mondo di straordinaria importanza e bellezza che però non viene sempre conservato con la dovuta attenzione ed impegno.

E’ vero che il Trentino è all’avanguardia rispetto ad altre regioni; pensiamo ad esempio alla tutela delle foreste, che coprono quasi la metà della superficie e offrono servizi importantissimi come legname, immagazzinamento dell’anidride carbonica, habitat per la fauna, difesa del territorio, occasioni di relax per i turisti. Pensiamo anche all’uso del solare per la produzione di energia pulita, alla costruzione delle piste ciclabili, alla gestione delle acque. Ma questo non ci deve far smettere di cercare di migliorare in continuazione; esistono problemi legati al traffico automobilistico, allo smaltimento dei rifiuti, alla cementificazione dei fondovalle, alla modifica dei paesaggi di montagna, alla perdita della biodiversità.

 

Ci sono delle specie animali e vegetali a rischio di estinzione?

Purtroppo molte specie sono a rischio di estinzione a causa dell’azione dell’uomo. Caccia, competizione alimentare, distruzione degli habitat, restringimento degli ambienti naturali…

Da uno studio dell’unione mondiale per la conservazione della natura risulta che nel 2007 più di 16 mila specie erano dichiarate a rischio di estinzione: un anfibio ogni tre, una conifera ogni tre, un uccello su otto e un mammifero su cinque.

Sulle Alpi, e in Trentino in particolare, la situazione non è molto più rosea. Scompaiono velocemente gli habitat di fondovalle, le piccole aree umide dove vivono gli anfibi, di cui tra l’altro si nutrono gli uccelli; 723 specie su 2359 appartenenti alla flora spontanea del Trentino sono a rischio di scomparsa dal territorio provinciale.

Gli animali a maggior rischio di estinzione sono l’orso bruno, il gallo cedrone, la pernice bianca, la lepre, il lupo, la lince.

La Provincia di Trento tutela le specie minacciate, che al momento sono 102. Inoltre, bravissimi ricercatori dei Musei di Scienze Naturali di Trento e Rovereto studiano con estrema attenzione questi fenomeni e danno istruzioni sulle modalità di intervento da adottare per evitare perdite irreparabili.

Nel corso dell’intervista, il professor Claudio Bassetti sottolinea molte volte l’importanza della collaborazione di tutti per migliorare l’ambiente dove viviamo. Il trentino può costituire un buon esempio, che spero possa essere seguito da altre regioni, ma come è stato detto non bisogna mani stancarsi di cercare miglioramenti, per il bene di tutti.

Massimo Furlani

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One Comment

  1. Comment by fiorillo:

    Sei un bravo cronista

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