Un racconto sulla Terra ancora senza titolo (5296)

Racconto di Francesco Toscani, 14 anni, del IV ginnazio A. Volta di Como, già vincitore di Giornalisti Nell’Erba 5 con il racconto “Il testamento del Lago di Como”.


Ho passato le ultime tre settimane a chiedermi cosa scrivere per la nuova edizione dei Giornalisti nell’Erba.

Anche perché bisognava parlare della Terra; e questa è una di quelle tracce che mi mettono in difficoltà. Sono stato seriamente tentato di scrivere l’Autobiografia della Terra, o qualcosa di simile. Perché non l’ho fatto?

Per due ottimi motivi:

  • perché sarei stato ripetitivo (l’anno scorso ho partecipato a questo stesso Concorso, con uno scritto intitolato Il testamento del Lago di Como)
  • e perché non mi andava.

Alla fine ho deciso di mettermi a scrivere, e basta. Scrivere senza uno scopo predefinito, senza un obiettivo. E limitarmi a parlare della Terra come la conosco io.

Ho incontrato la Terra la prima volta quando avevo tre anni. È stato un piacere.

Io – Francesco Toscani – ero in vacanza a Fiera di Primiero, un paesino del Trentino.

Io ero in giro fra le montagne coi miei genitori (ora che ci penso, forse erano loro a essere in giro con me … questione di punti di vista).

Eravamo arrivati a un prato e, mentre i miei genitori mangiavano, io mi facevo un giro. Era una bella mattina di ottobre, l’aria profumava di pino, il cielo era limpido, brillante – come se qualcuno l’avesse pulito –, il Sole era splendente (so che il Sole è sempre splendente … ma a volte è più splendente, capite?) … insomma, era una bella giornata. Io stavo camminando, quando sono caduto.

Stranamente non mi sono fatto male. Per nulla. Forse perché sono caduto sull’erba. Ricordo di avere guardato in basso, e di avere visto – per la prima volta – la Terra.

«Ciao», mi ha detto la Terra.

«Ciao», ho detto io. «Come ti chiami?». Non chi sei. Come ti chiami.

«Mi chiamo … » (e qui ha esitato) «Gaia».

«Gaia», ripetei. «Chi sei?».

E lei me lo disse.

 

La Terra è nata sessantaquattro miliardi di anni prima che nascesse Gesù.

È nata in un colossale vortice di fuoco, che riempiva tutto lo Spazio immaginabile.

Una sfera di fuoco liquido, fluente …

Come descriverla?

Come descrivere l’enormità, la vastità di un simile fuoco a un bambino di tre anni?

Gaia non lo sa.

È buffo pensare che quel fuoco non fosse, in realtà, altro che un semplice ammasso di gas che aveva preso fuoco. Il Sole non è una Stella; è un palloncino in fiamme. Tutte le Stelle sono palloncini in fiamme; ma a vederle da vicino sembrano infinite, enormi, sconfinate.

Come in tutta la realtà, in tutte le cose, nelle Stelle coesistono l’apparenza e la sostanza.

L’apparenza di giganteschi dei infuocati, e la sostanza di puntini nel Vuoto Cosmico.

«Che cos’è il Vuoto Cosmico?», chiesi spaventato. Avevo molta paura.

Erano passati sette anni dal mio primo incontro con Gaia; ora avevo dieci anni ed ero appena venuto a conoscenza della realtà che, anni prima, aveva tormentato gli incubi di H.P. Lovercraft e che aveva preso corpo in tutti i suoi racconti e in It, di Stephen King.

Ero venuto a conoscenza del Vuoto.

 

Due sere prima avevo letto un numero (non ricordo più quale) di Focus. Parlava, tra le altre cose, della Fine dell’Universo.

L’Universo finirà tra circa venti miliardi di anni, quando tutta la materia si disassemblerà in atomi. Le stelle si spegneranno, i pianeti si cancelleranno, la vita cesserà ed Entropia dominerà ogni cosa.

Questo mi aveva sconvolto (ricordate che avevo dieci anni). Non tanto perché mi inquietasse l’idea della Fine dell’Universo (tanto sarei morto prima), ma perché mi ero reso conto di una grande, terribile verità; le cose non sono sotto il nostro controllo.

Fuori dall’atmosfera c’è qualcosa di terribile, ostile, alieno,

Una forze enorme, infinita, e che alla fine dominerà.

 

«IL FUTURO È FREDDO E BUIO; FA PAURA».

 

Ho sentito questa frase al telegiornale, non ricordo in che contesto. Riassume molto bene quel che provavo.

Lo dissi alla Terra.

 

Gaia non tentò di rassicurarmi. Non mi strinse a sé. Si limitò a parlare.

 

«Francesco, tu temi il vuoto. Temi il caos. La sensazione che ci sia qualcosa al di fuori del tuo controllo.

Beh!, hai ragione. Tutto è al di fuori del tuo controllo. Non puoi fare nulla per controllare la tua vita. E non c’è bisogno di scomodare le Forze Cosmiche! Francesco, tu non puoi impedire nulla. Potresti essere ucciso da una macchina uscita di strada fra sei secondi.

E dimmi: tu questo lo trovi spaventoso? Beh!, ti sbagli; è bellissimo.

Perché, vedi, la vita ci trascina. Noi? Noi siamo esseri in movimento, perché tutto ciò che accade è imprevisto.

Anche chi passasse tutta la vita seduto su una poltrona, beh, sarebbe sempre in movimento. Anche se, in questo caso, il movimento sarebbe dentro la sua testa».

«Ma questo è spaventoso!»

«Perché?»

«Perché non c’è stabilità, non c’è logica, non c’è senso!»

«Ma certo che c’è».

«Ma … ma hai appena detto …»

« La vita, a seconda di come la guardi, può avere tutti i sensi che vuoi.

Puoi pensare che le emozioni la rendano degna di essere vissuta.

Puoi pensare che le emozioni non abbiano un senso e che l’unico scopo nella vita sia cercare lo scopo nella vita.

Puoi pensare che la vita sia qualcosa di talmente bello da superare ogni controversia; e che sia qualcosa di talmente brutto da non valere lo sforzo di viverla.

E via dicendo.

La vita è bella per questo: perché tutto in essa è vero e, di conseguenza, tutto è falso!

Contraddizioni, chiaroscuri, sogni, nascita, morte; tutto insieme; la vita è la suprema commedia, e Dio – che esista o meno – è il supremo commediografo».

«Ma questo è il caos!»

«No; è libertà. Senti la vita che ti circonda, ed abbandonati! Vola!

Tu pensi di avere paura del cielo perché è troppo buio.

Tu sbagli.

Tu hai paura del cielo perché è troppo grande».

 

Gaia ha paura di avere fatto un discorso troppo difficile per un bimbo di dieci anni.

Francesco Toscani è spaventato da qualcosa che non capisce, e lei non gli è stata per nulla di conforto.

Eppure quello che ha detto è tutto vero. Gaia conosce la Paura del Vuoto, perché la prova ogni giorno.

Essendo lei la Terra, non può appoggiarsi alla Terra. Lei è una Palla scagliata nel Vuoto, senza punti d’appoggio, per l’eternità.

Ha solo due punti d’appoggio psicologici. Ne ha parlato a Francesco tre anni prima, quando lui le ha chiesto:

«Come sono gli altri Corpi Celesti?»

Avevo sette anni, e tenevo aperto sulle ginocchia un libro intitolato, semplicemente, l’UNIVERSO.

Quando avevo sette anni non mi interessavo alla narrativa. Non avevo ancora deciso di fare lo scrittore. No; a sette anni io desideravo essere uno scienziato. Mi affascinava lo Spazio, con tutto il suo mistero e le sue meraviglie. E mi affascinavano gli animali.

«Gli altri Corpi Celesti?», ripeté Gaia, in tono sorpreso.

«Sì».

«Hmm … di quale vuoi sapere?»

«Mercurio».

«Mercurio, eh? Dunque …

Ho conosciuto Mercurio poco dopo la mia nascita. Ricordo che stavo ancora scoprendo le gioie, i rischi dell’essere un pianeta …»

«Ci sono rischi ad essere un pianeta?»

«Dopo. Comunque, ricordo di avere visto Mercurio che mi roteava vicino …»

«Vicino?»

«Vicino per gli standard dei pianeti. Lasciami parlare!»

«Scusa».

«Come ti dicevo, ricordo di avere visto Mercurio passarmi vicino. Era molto più piccolo di me, e sembrava timido. Se ne stava lì attaccato al Sole, senza scambiare parola con nessuno.

“Ciao”, gli dissi. “Come va?”

“Come va chi?”

“È un modo di dire.”

“Da dove deriva?”

“Cosa?”

“Questo modo di dire.”

“Scusa?”

“Insomma, perché si dice come va? Perché non come viene? O come giunge? O, meglio ancora, come si muove?”

“Non lo so”

“Io nemmeno. Per te da cosa può derivare?”

“Beh …”

“Penso che si dica come va? per via della linearità del tempo.”

“Scusa?”

“Siccome il tempo va in avanti, dà un’idea di movimento. Un movimento lineare. Si dice va perché il tempo si muove in avanti. Ogni volta che una giornata inizia, va verso la fine.”

“Ma … io ti ho solo chiesto come va.”

“Lo so. Vedi perché bisogna sempre riflettere? Tu mi chiedi se sto bene, e in realtà stai facendo un discorso implicito sulla linearità del tempo. E poi: perché sto bene, quando stare indica il trovarsi in un luogo? Io mi trovo bene? E perché mai io dovrei trovarmi? Non sarebbe meglio trovare qualcun altro?”

“Insomma, vuoi dire che la lingua offre infinite possibilità di riflessione.”

“Sì, ma non solo. La lingua, vedi, è lo specchio della cultura. E della mente.”

“Capisco.”

“No, non credo. Ma va bene lo stesso.”

In seguito parlai ancora molte volte con Mercurio. Era … è … incredibile. Riesce sempre a guardare le cose da un altro punto di vista. Resti sempre spiazzato, dopo averci parlato.

Si vede che stare vicino al Sole rende intelligenti; anche Venere è uno dei pianeti più brillanti che io conosca. Ma è … come dire … particolare.

È lucido, brillante, fulminante, geniale … e al tempo stesso, molto allucinato. È il pianeta più sballato che io conosca. Ha un grandissimo difetto, però; quando pensa qualcosa, la dice.

E sa essere crudele. Ricordo che ha fatto una corte sfrenata ad Ariel, arrivando a conquistarla, solo per far infuriare Nettuno».

«Chi è Ariel?»

«Uno dei Satelliti di Nettuno».

«Oh. E Nettuno come l’ha presa?»

«Male. Ha lanciato ottantasette asteroidi su Venere … e quello gli ha riso in faccia. La sua atmosfera lo proteggeva dalle Meteore, comunque. Povero Nettuno …»

«Già. Dimmi, come sono i quattro Pianeti giganti?»

«Pomposi. Oh, non fraintendermi, sono bravi ragazzi, ma l’essere trecento volte più grandi di me o di Venere dà loro alla testa. Soprattutto Giove, che d’altronde è il più grande. Saturno è più moderato; forse si sente messo in ombra da Giove. Nettuno e Urano si prendono troppo sul serio».

«Plutone?»

«Laconico. E cinico. Probabilmente perché essendo così lontano dal resto del Sistema Solare ha sviluppato un forte spirito d’osservazione. E lo spirito d’osservazione si è trasformato in cinismo. Dopotutto, Plutone è talmente lontano dal Sole da non fare realmente parte della vita di noi Pianeti».

«Capisco. E gli altri?»

«Dunque; c’è Caronte, la Luna di Plutone. Anche lei è cinica e laconica.

Ci sono un gran numero di Asteroidi oltre Plutone, ma quasi non li conosco. È difficile parlare con qualcuno che vive a mezzo anno-luce di distanza.

E naturalmente ci sono tutte le altre Lune; ma quello è un discorso un po’ diverso. Generalmente, infatti, le Lune tendono a parlare solo col loro Pianeta e si viene a creare un rapporto molto particolare; un miscuglio tra amicizia, amore, fiducia, complicità, ma anche gelosia, condivisione, e molte altre cose. Il rapporto tra un Corpo Celeste e i suoi Satelliti è strano, sai? Generalmente, quando i satelliti sono tanti si crea una comunità. Il Gruppo di Giove, quello di Saturno, quello di Nettuno, quello di Urano … Quando ci sono solo un Pianeta e una Luna, invece, il rapporto è simile a quello tra due amici».

«Penso di aver capito. E chi non ha nessuna Luna?»

«Solo Mercurio e Venere non hanno Lune. Venere non ha mai nascosto la sua invidia per noi altri Pianeti. E Mercurio non mi ha mai fatto capire cosa ne pensasse. In effetti, Mercurio non fa mai trasparire le sue emozioni».

«Mai?»

«Mai».

«E come fa?»

«Non lo so. Anzi, ora che ci penso: ho visto solo una volta Mercurio far trasparire un’emozione».

«Quale?»

«Curiosità».

«Perché?»

«Non perché; per chi».

«Per chi?»

«Per voi?»

«Voi chi?»

«Voi umani».

 

Calò il silenzio e mi resi conto di non aver mai chiesto a Gaia cosa pensasse di “noi umani”. Ma prima di poter chiedere, Gaia me lo disse.

 

«Ricordo ancora come fosse ieri il giorno in cui siete scesi dagli alberi. Piccoli, brutti, e stupidi; ma c’era qualcosa di strano in voi. Non era solo l’intelligenza, o il pollice opponibile, no; era che non vi bastava guardare. Voi siete gli unici esseri viventi che hanno tentato di cambiare la Natura. Nessun altro – né vegetale, né fungo, né animale, né minerale, né pianeta, stella o corpo celeste – ci aveva mai provato. Anzi; nessuno ci aveva mai nemmeno pensato!

Non siete la creatura più affascinante che io abbia mai prodotto, ma sicuramente siete la più sorprendente».

«Qual è la creatura più affascinante che tu abbia mai prodotto?»

«Punti di vista. A me piacciono gli ippopotami».

«Gli ippopotami?»

«Sì».

«Ma sono brutti!»

«E allora? Anche tu sei brutto»

«Cosa!?»

«Scherzo. Ma io non seguo i tuoi criteri di bellezza. A Marte piacciono i ragni. A Giove gli squali. Venere adora gli ornitorinchi. Mercurio, per motivi alquanto oscuri, ama gli essere umani. Le Lune di Marte (Phobos e Domos) amano entrambe gli alberi e le amebe».

«Le amebe?! Come fate a vedere le amebe?»

«Siamo Pianeti (e Satelliti). Gli uomini non sono tanto più grandi delle amebe, per noi. Il Sole ama gli uccelli in generale, ma anche tutte le altre creature volanti, come le libellule».

«Che tipo è il Sole?»

Gaia tacque.

«Gaia? Ci sei?»

«Sì. Sto cercando le parole per descriverlo. Lui è … Come dire? Un punto d’appoggio. La gravità del Sole è l’unica cosa che ci tiene dove siamo. L’unica cosa che ci impedisce di volare via, scagliati nell’Universo. Nel Vuoto Cosmico. E … beh, forse per questo motivo tutti noi Pianeti idolatriamo il Sole. Probabilmente non sono obbiettiva, ma per me – e per tutti gli altri Pianeti – il Sole è perfetto.

È la figura più carismatica che io conosca – più di Venere –, e brillante, sì, ma anche saggio, sapiente; è forte – più di Giove – e bello. Come posso descriverti la bellezza di milioni di chilometri di fuoco?»

«Posso immaginarla».

«Ne dubito».

A sette anni non sapevo molte cose, ma non ero uno stupido. E capii subito che Gaia era perdutamente innamorata del Sole.

 

Gaia non ha detto a Francesco la cosa più importante; è perdutamente innamorata del Sole. Ma come far capire al bambino di sette anni la forza del suo sentimento? Come?

Come descrivere la sensazione di non essere più il centro del tuo universo? La consapevolezza che c’è qualcun altro per cui vivere?

Probabilmente non si può.

Naturalmente Gaia sa di non avere speranze. Tutti gli altri corpi del Sistema Solare – a parte, forse, Plutone – provano i suoi stessi sentimenti.

Non è un caso che sia il Sole a porre fine alle discussioni; persino Venere, con il suo humour caustico e tagliente, tace quando il Sole glielo chiede. Solo Plutone, che vive a milioni di chilometri di distanza, non prova rispetto per il Sole. Anche Giove perde tutta la sua arroganza parlando con la Stella.

Gaia si è confidata solo con la Luna.

La Luna …

Anche quello con la Luna è un rapporto indescrivibile. Gaia ha provato a raccontare a Francesco quel che si prova ad avere un Satellite; ma è impossibile.

È impossibile descrivere il modo in cui la Luna divenga, alla fine, una sorta di coscienza della Terra; quella a cui raccontare tutto. Anche del suo amore per il Sole.

Ma forse Francesco un giorno potrà capire. Dopotutto, ha deciso di fare lo scienziato; di passare la vita a studiare Gaia, la Terra. E chi ci vive sopra; e chi ci vive accanto. Forse, passando la sua vita a studiare Gaia, Francesco arriverà un giorno a capire Gaia.

Gaia non sa, naturalmente, che quella di fare lo scienziato è solo un’idea.

Non sa che arrivato a nove anni d’età Francesco deciderà di scrivere.

 

«Vogliono costringermi a scrivere!», sbottai furibondo.

«Costringerti?»

«Sì».

«Ma … tu non volevi fare lo scrittore?», chiese Gaia in tono perplesso.

«Sì», spiegai «ma io voglio decidere cosa scrivere, non scrivere quel che mi obbligano a scrivere!»

Ero arrabbiato.

«Chi vuole obbligarti a scrivere?»

«Mia mamma. E la mia prof. d’italiano. Cambiare la prof. d’italiano in terza media … bah!»

«Spiegati».

«In pratica la mia prof. d’italiano ha deciso di iscrivermi a un concorso per giornalisti – o scrittori – dilettanti. Io dovrei scrivere un racconto e la prof. lo invia alla redazione di questi giornalisti in erba».

«E di cosa deve parlare il tuo racconto?»

«Dell’acqua. Dell’acqua! Ti rendi conto?»

«Di cosa?»

«Parlare dell’acqua non è una traccia! Uno non può parlare di qualunque cosa! Io voglio tracce più … più …»

«Costrittive?»

«Più sensate!»

«Oh.»

Capii che Gaia era perplessa. D’altro canto, non aveva mai capito il mio desiderio di scrivere.

Gaia non capiva le arti. Trovava la musica solo un insieme di suoni, la letteratura un insieme di lettere, la scultura un insieme di sassi, la pittura un insieme di punti e linee e la danza un insieme di … In effetti, Gaia non riusciva nemmeno a definire la danza.

Capiva solo l’architettura. Anzi; la amava.

«Di cosa vuoi parlare che sia legato all’acqua?»

«Non lo so. Posso scrivere storie ambientate in acqua, niente di più facile. Ma storie in cui l’acqua sia una componente essenziale? No».

«Perché non parli dell’acqua?»

«Bel consiglio …»

«Intendo: perché non rendi l’acqua un personaggio

«Perché …»

E qui mi bloccai. Già. Perché?

Perché no?

«Potrebbe essere un’idea … narrare quello che pensa l’acqua … Sì, è un’idea.

Una narrazione in prima persona, tipo un diario dell’acqua … Però … l’acqua è troppo impersonale … Meglio prendere una località precisa».

«Il Lago di Como?»

«Probabilmente. Il diario del Lago di Como … No, non funziona. La vita del Lago è troppo lunga … Meglio prendere l’autobiografia … Però…»

«Però?»

«Però preferirei usare una forma di testo meno lineare, una che dia più spazio alle riflessioni …»

«Come per esempio …»

«Un testamento!» esclamai saltando in piedi.

E Testamento fu.

 

“Il Testamento del Lago di Como” era stata una buona idea.

Gaia in effetti non amava la letteratura, ma era contenta che la amasse Francesco. Ed era stata felice quando aveva vinto il Concorso, anche se il suo tema non le piaceva poi tanto.

C’era stata solo un’occasione in cui un testo l’aveva davvero commossa, ed era avvenuta un anno più tardi, quando Francesco l’aveva avvicinata dicendole

 

«Mi hanno chiesto di scrivere di te!»

«E che hai scritto?»

«Ho scritto di te, ovviamente». Mi sentivo piuttosto allegro.

«Il mio tema si intitola un racconto sulla Terra ancora senza titolo …»

 

E Gaia si commuove davvero, mentre ripercorre con la mente tutti i suoi dialoghi col ragazzino chiamato Francesco, che forse è riuscito a riversarla dentro quei pochi fogli, inserendo in un racconto solo la saggezza, le vicende, le emozioni, gli amici che fanno di Gaia, ora e per sempre, la Terra.

Francesco Toscani

cod. conc. 2911164020

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